Toti patteggia 2 anni e mette nei guai gli alleati in Liguria
Il caso Per l’ex governatore 1.500 ore di lavori utili e confisca dei beni L’accordo con i pm spunta alla destra l’arma del garantismo
Il caso Per l’ex governatore 1.500 ore di lavori utili e confisca dei beni L’accordo con i pm spunta alla destra l’arma del garantismo
«Confesso, ho governato». E dunque «accetto di patteggiare una pena per corruzione e finanziamento illecito ai partiti»: due anni e un mese da scontare con 1.500 ore di lavori di pubblica utilità e una confisca da 84.100 euro. Tra un libro che sta per uscire e una decisione presa nello studio del suo avvocato, si consumano gli ultimi giorni della prima vita politica di Giovanni Toti, ex presidente della Regione Liguria. Il sipario sul primo atto cala qui, l’arresto del 7 maggio ora sembra solo un movimentato preludio. Se ne riparlerà scontata la pena, due anni scarsi. Toti accetta tutte le accuse che gli vengono mosse dal pubblico ministero, scelta che coglie di sorpresa. Arriva 24 ore dopo che il suo schieramento di centrodestra ha finalmente trovato un candidato, Marco Bucci, sindaco di Genova. Ci si chiede, in Liguria, a sinistra e al centro e pure a destra, se con un’altra tempistica il sindaco-candidato avrebbe accettato l’investitura.
LA DECISIONE di «patteggiare» presa da Toti, dovrebbe razionalmente chiudere la campagna pelosa dei giustizialisti contro garantisti, perché giustizia è fatta, lo dicono gli accusati, lo accettano gli accusatori. Però si sa, la politica è «sangue e merda», disgustosa affermazione del socialista Rino Formica. Della prima merce, va detto, ne circola ultimamente parecchia, sul fatto che Toti sia un politico a sangue freddo è caratteristica riconosciuta. Anche per questo adesso la domanda è: perché lancia la bomba a sei settimana dal voto in Liguria? Da un paio di giorni voci in uscita dal centrodestra sussurravano della possibilità di un patteggiamento. E cioè da quando si erano chiuse tutte le possibilità che a candidarsi per il dopo Toti fosse una creatura politica del governatore, la deputata genovese Ilaria Cavo, tenacemente fedele alla linea del suo leader. Se gli alleati avessero accettato questo nome, per l’ex governatore sarebbe stato un attestato di stima per il lavoro fatto, capace di allontanare qualsiasi desiderio di patteggiamento. Così non è andata, soprattutto per volontà dei vertici liguri della Lega. Allora ecco la contromossa di Toti, una «vendetta politica», a sangue freddo. Tutto dopo aver visto il distacco graduale, ma sempre più palpabile di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia.
POI SONO ARRIVATI i saluti di alcuni «totiani della prima ora», passati in altri partiti del centrodestra. Infine, sistemati alcuni irriducibili nella lista del neo candidato Bucci, Toti ha chiuso la sua mossa: sì al patteggiamento. Qui arriva la seconda parte della ricostruzione e tutto nasce da un’ambiguità del nostro sistema giuridico. Dove a differenza dei Paesi anglosassoni patteggiare non significa dichiararsi colpevoli. Un po’ di fumo negli occhi, che sta facendo e farà comodo in una campagna lampo, giocata molto sull’informazione o sulla disinformazione. Bene sarà dunque ribadirlo: l’ex presidente ha chiesto di patteggiare una pena per corruzione e finanziamento illecito ai partiti, rinunciando così a qualsiasi difesa nel merito e al processo con rito immediato che doveva iniziare il 5 novembre. Chiudendo la partita con due anni e un mese di pena, da scontare con lavori di pubblica utilità. Infine il pagamento del prezzo delle tangenti, circa 84 mila euro, poiché ritenuto responsabile d’aver incassato mazzette dal Gruppo Spinelli e da Esselunga. Soldi finiti al suo comitato e allora sarà il comitato a rimborsare e la cifra può apparire meno gravosa di quella prevista per sostenere le spese legali del processo.
TOTI entra in un cono d’ombra, tra un paio d’anni potrà tornare pubblicamente all’attività politica e (ad averli) si potrebbero scommettere anche 84.000 euro che la sua prima battaglia sarà sul finanziamento ai partiti. Il governatore del fare, ora viene sostituito dal candidato Marco Bucci, il sindaco del fare. Che ieri mostra intolleranza (la definizione è sua) alla domanda di un giornalista, sugli schermi di SkyTg24, semplicemente perché «non tollera l’insinuazione». In realtà è un semplice distinguo: fare è giusto, ma fare nel rispetto delle regole è imprescindibile. Non essere indagati e Bucci non lo è, non esclude avere a cuore il tema della legalità. L’uscita dalla scena politica di Toti modifica i rapporti di forza in un sistema, apre vuoti di contenuti che andranno riempiti. Con idee e azioni nuove, «a testa alta» come ribadisce il centrosinistra guidato da Andrea Orlando.
QUELLO CHE è stato lo spiega bene il commento di Debora Serracchiani, responsabile nazionale Giustizia del Pd: «Abbiamo detto che il sistema Toti andava fermato e per questo avevamo chiesto le dimissioni. La richiesta di patteggiamento per corruzione impropria e finanziamento illecito conferma che avevamo ragione. Senza alcun senso di rivalsa, prendiamo atto che l’ex presidente ha cambiato posizione e ha rinunciato a dimostrare di non aver commesso alcun reato. Questo accordo sancisce uno stato di cose che riguarda Toti e un metodo di amministrare e fare politica». Confessiamolo: il 27 e 28 ottobre i liguri potranno scegliere, ora il quadro che hanno è completo.
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