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Torture e polizia, la credibilità è tutta da ricostruire

Torture e polizia, la credibilità è tutta da ricostruireGenova 2001, dopo l'assalto delle forze dell'ordine alla scuola Diaz – LaPresse

G8 Genova 2001 Ai vari piani del Palazzo farebbero bene a rileggersi le sentenze e a prendere sul serio le ragionevoli considerazioni del pm Enrico Zucca, uno dei pochi funzionari dello Stato usciti a testa alta da queste penose vicende

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 7 aprile 2018

Pochi giorni fa il pm Enrico Zucca è stato sottoposto a un durissimo attacco mediatico e istituzionale per avere ricordato alcune antipatiche verità riguardanti il G8 di Genova del 2001. Nel Palazzo non piace che si ricordino le vicende di quel tragico luglio e soprattutto i processi che ne sono seguiti.

Ma non esiste al momento un silenziatore abbastanza efficace da cancellare i fatti e ora tocca alla Corte dei Conti ricordarci la disfatta morale, politica e anche economica causata dai responsabili istituzionali con la loro scellerata gestione del dopo G8. La magistratura contabile ha condannato 28 persone – fra personale medico-sanitario e appartenenti a polizia, carabinieri e polizia penitenziaria – a risarcire i circa sei milioni di euro pagati alle parti civili nel processo per le torture nella caserma-carcere di Bolzaneto e solo un malizioso cavillo normativo – definito a suo tempo «irragionevole» dal procuratore ligure Ermete Bogetti – ha impedito di contestarne altri 5 per il danno alla reputazione dello Stato. Il pm, nel chiedere la doppia condanna, aveva specificato che le violenze sui detenuti a Bolzaneto «hanno determinato un danno d’immagine che non ha pari nella storia della Repubblica».

Sono parole molto dure ma anche molto simili a quelle scritte dai giudici di Cassazione il 5 luglio 2012 nella sentenza che ha condannato in via definitiva 25 funzionari e dirigenti di polizia nel processo Diaz: «(…)una volta preso atto che l’esito della perquisizione si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, dissociandosi così da una condotta che aveva gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero e di rimettere in libertà gli arrestati, avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze».

Non vanno poi dimenticate le parole spese dalla Cassazione nel motivare il no alla richiesta di affidamento ai servizi sociali presentata da Gilberto Caldarozzi, condannato nel processo Diaz e oggi vice direttore della Direzione investigativa antimafia; la Cassazione in quel documento biasima il «dirigente di polizia, tutore della legge e della legalità che si presta a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici» e ricorda, con riferimento alla Diaz, «il clamore provocato dalla vicenda e il conseguente discredito internazionale caduto sul nostro paese».

Dovremmo tenere a mente tutti questi passaggi ogni volta che si parla di dignità e credibilità delle nostre forze di polizia, l’una e l’altra gravemente danneggiate dalle scelte compiute dai vertici istituzionali non solo durante ma anche dopo il G8 del 2001. La Corte europea per i diritti umani ha rimarcato come nel processo Diaz «la polizia italiana si sia potuta rifiutare impunemente di fornire alle autorità competenti la collaborazione necessaria»…

Che c’è di peggio, per un apparato dello Stato, di un giudizio del genere?
Il capo della polizia Franco Gabrielli l’altro giorno ha definito «oltraggiose» le affermazioni di Enrico Zucca, tutte riprese da sentenze passate, sulla debole «statura morale» della nostra polizia, dimostrando di non aver compreso, o di non voler accettare, la dura verità che scaturisce dal G8 di Genova. In quei giorni e negli anni successivi fino a oggi, con l’inopinato reintegro dei condannati nel processo Diaz, abbiamo assistito a un pervicace rifiuto di tutelare l’onorabilità dei corpi di polizia nell’unico modo possibile: ammettendo le proprie colpe, allontanando i responsabili degli abusi, facendo opera di prevenzione (do you remember i codici sulle divise?), chiedendo scusa – ma davvero, non con la mezza e tardiva frase di Antonio Manganelli – a tutti, proprio a tutti: le vittime dirette delle violenze, i cittadini italiani, i lavoratori onesti dei corpi di polizia.

Oggi è troppo tardi e la credibilità perduta è tutta da ricostruire: perciò ai vari piani del Palazzo farebbero bene a rileggersi le sentenze e a prendere sul serio le ragionevoli considerazioni di Enrico Zucca, uno dei pochi funzionari dello Stato usciti a testa alta da queste penose vicende.

*Comitato Verità e Giustizia per Genova

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