Internazionale

Torna l’incubo della «City of Hate» ma vissuto su Twitter e Facebook

Torna l’incubo della «City of Hate» ma vissuto su Twitter e Facebook

Social network Per i movimenti civili il web è diventato strumento tanto di difesa quanto di denuncia

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 9 luglio 2016

Un salto all’indietro di quasi 50 anni, per gli Usa, ma con mezzi di comunicazione diversi: «Questo è quello che deve essere stato il 1968» si è letto e riletto su Twitter.

Gli omicidi di Alton Sterling e di Philando Castile sono stati immediatamente di dominio pubblico, catapultati in rete, praticamente in diretta, come nel caso della fidanzata di Castile che tramite Facebook livestream ha mostrato la morte del proprio compagno.

I social media per i movimenti, ma per Black Lives Matter in particolare, sono il sostituto del 113, quel numero che dovresti digitare se sei in pericolo, ma se il pericolo è proprio la polizia allora che fai?

Diamond Reynolds ha chiamato tutti quanti, tramite Facebook, chiunque potesse vedere. Qua siamo a un passo oltre; non è il video mostrato, a posteriori, della polizia che maltratta i manifestanti e che condanna così i poliziotti, come accaduto con le riprese presentate in tribunale da Occupy Wall Street , ma la consapevolezza a priori che se sei nero e sei in pericolo, allora hai bisogno di testimoni. 24 ore dopo l’omicidio di Castile, il mass shooting di Dallas ha mostrato, in diretta internet, una manifestazione sacrosanta e pacifica venire stravolta da un cecchino, secondo le indagini, che ha sparato alla polizia, uccidendo cinque persone.

Il video uploadato e diffuso da Twitter aveva registrato il suono di un’arma professionale e si era così capito subito che non si trattava di un tiratore improvvisato.

Solo dopo si è infatti scoperto che il responsabile sarebbe un ex militare. Questo accadeva mentre da tutte le principali città americane arrivavano le immagini delle manifestazioni di Black Lives Matter: dalla catena umana che marciava ad Harlem, alla tangenziale di Oakland occupata per ore, manifestanti e polizia entrambi consapevoli di essere guardati da tutto il mondo connesso.

Così tutti i comunicati della polizia di Dallas sono arrivati tramite il loro account Twitter, super attivo durante tutta la notte, e la risposta di Blm è stata diffusa ore dopo da Wesley Lowery, giornalista del Washington Post e punto di riferimento per la stampa durante le settimane più tese di Ferguson, in un momento in cui anche la destra e l’estrema destra americana stava usando i social.

Proprio durante la notte di Dallas il New York Post ha diffuso la foto della sua prima pagina sobriamente titolata «Guerra civile», demonizzando tutto il movimento Black Lives Matter.

Jeff Roorda, il portavoce del sindacato di polizia di St. Louis, invece, ha incolpato Obama dei morti di Dallas, iconizzando il concetto con una foto di mani insanguinate postata su Facebook.

I social sono ormai un mezzo di difesa e di legittimazione; come nel caso della povera Diamond Reynolds che nel video sentiamo continuare a chiamare «sir», signore, il poliziotto che aveva appena ucciso il suo compagno, e della polizia stravolta dai propri morti pescati nel mucchio.

Nei prossimi giorni vedremo se davvero il 2016 americano è la continuazione del 1968, specialmente in vista di due convention che già da mesi si sanno essere una polveriera potenziale, che inonderà i tablet di mezzo mondo

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento