Il professore Domenico De Masi è considerato l’ispiratore della cosiddetta «svolta a sinistra» del Movimento 5 Stelle. Dopo aver organizzato le scuole di formazione del nuovo corso di Conte, all’inizio della campagna elettorale ha rinunciato a candidarsi nelle liste grilline ripescando la lista delle tre cose per cui vale la pena vivere stilata dal pensatore e politico ottocentesco Lord Acton: viaggiare in Italia con la persona amata, cenare in sei con gli amici, scrivere un libro. «Io ho la fortuna di fare tutte e tre queste cose e non vi rinuncerei per nient’altro al mondo», ha detto rifiutando un posto in Parlamento.
All’indomani delle elezioni politiche giudica così i risultati del voto. «Queste elezioni rappresentano il crollo della politica economica neoliberista – esordisce – Le hanno vinte i 5 Stelle, che propongono una politica keynesiana, anche se probabilmente manco sanno che si chiama così. E le ha vinte Giorgia Meloni che appartiene a una cultura statalista, venendo dalla storia del fascismo. Da questo punto di vista, il fatto che il Pd abbia candidato un economista neoliberista come Carlo Cottarelli, di cui sono amico e ho pieno rispetto, rappresenta un errore clamoroso».

Pensa davvero che la destra al governo sfidi le compatibilità neoliberiste? Si parla di un dialogo con Mario Draghi per garantire una transizione non traumatica.
Il passaggio sarà morbido, di sicuro. Ho anche la cittadinanza brasiliana e negli scorsi anni ho visto l’insediamento di Bolsonaro in Brasile. Ha avuto un primo anno morbidissimo e solo dopo si è scatenato. Se Meloni è coerente con le sue idee dovrebbe essere statalista. Anche se nella sua compagine c’è pure un’anima neoliberista rappresentata da Berlusconi e dalla Lega. Si tratta di capire quale delle due prevarrà.
Qual è il segreto del suo successo?
Lei ha capito che ci vuole coerenza, ha prospettato una linea diversa di quella centrista. Se i 5 Stelle avessero fatto altrettanto avrebbero vinto loro le elezioni. Mi pare che l’elettorato rifiuti l’egemonia finanziaria di cui Draghi era il perno principale. Altro errore di Letta è stato ancorare il centrosinistra all’ex presidente della Bce.
Non è preoccupato per la vittoria di questa destra?
Certo che lo sono. Ma adesso finalmente si chiariscono le posizioni: il guazzabuglio draghiano cancellava il conflitto. Da ora ci sono una destra e una sinistra. Fino a oggi il Pd diceva che era di sinistra senza esserlo mentre i 5 Stelle erano di sinistra senza dirlo. Se si riesce a isolare Renzi e Calenda e si crea una linea comune, la sinistra finalmente può cominciare una lunga marcia che porta alla costruzione di un’alternativa seria. C’è una miriade di gruppi che potrebbero lavorare in questo ambito. Si pensi al Forum delle disuguaglianze: si tratta di capire se la sinistra sarà in grado di comporre in unità questo fiorire di scontenti e dargli una solida base teorica per arrivare a proporre un modello alternativo.
Dunque consiglia a Conte di coordinarsi con le altre forze di opposizione?
Intanto deve consolidare la sua fede di sinistra, che non è affatto scontata. Ci sono le basi, ma bisogna lavorare a una leadership di veramente di sinistra. E poi occorre chiedere aiuto ai migliori cervelli. Bisogna mettere a disposizione del mondo intero il laboratorio che si apre nel nostro paese.
Conte si è preso lo spazio a sinistra del Pd?
Io spero che sia questo, lì c’è una prateria ci sono quasi sei milioni di poveri assoluti e altri sette milioni di persone che non hanno di che vivere.
Come interpreta il dato dell’astensione?
Si è fatto di tutto per arrivare a questo dato. L’astensione è una forma di sottosviluppo politico. Ci vogliono anni di impegno profondo e tenace per arrivarci e poi è difficile superarlo. È il risultato di trent’anni di politica sciagurata.
Dunque pensa che si inverta la tendenza?
Inizia finalmente la fase dell’egemonia politica e finisce quella dell’egemonia economica, riprende il conflitto che non è solo a livello locale ma anche mondiale con la nuova guerra fredda. Schierarsi sarà obbligatorio, sia dentro che fuori dall’Italia. Si rimette in moto la storia. A suo modo è un momento magico: il che, si badi bene, non significa che sia meraviglioso.