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Tories versione sovranista, ma il Labour prende quota

Tories versione sovranista, ma il Labour prende quotaLa premier britannica Theresa May a Stoke On Trent per la campagna elettorale – LaPresse

Gli elettori britannici, come in forme diverse i ceti popolari europei, chiedono un riequilibrio di potere fra comunità nazionali e mercati internazionali, fra globalizzazione e sovranità democratica. Jeremy Corbyn e […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 17 maggio 2017

Gli elettori britannici, come in forme diverse i ceti popolari europei, chiedono un riequilibrio di potere fra comunità nazionali e mercati internazionali, fra globalizzazione e sovranità democratica. Jeremy Corbyn e Theresa May offrono due soluzioni opposte, e le culture politiche dei due partiti si trasformano in modo divergente dinanzi a questa spinta. I Conservatori, come i loro omologhi svedesi, norvegesi e austriaci (in modo solo più radicale gli ungheresi di Fidesz) reagiscono alla crisi dell’ideologia neoliberale spostandosi verso il nazional-populismo. Tanto da provocare danni allo Ukip: dimezzamento al 5% nei sondaggi, e il nuovo leader, Paul Nuttal, subentrato a Farage, deciso a ritirarsi in molti collegi in bilico. In almeno 35-40 collegi i Conservatori batteranno il Labour grazie a questo. Lo stravolgimento della linea Tory (Cameron undici mesi fa era contro Brexit) e la dote Ukip sono formidabili perché oggi in Inghilterra la materializzazione della minaccia alla sovranità è la Ue. «Contro» la Ue May dovrà trattare l’uscita e potrà, almeno in campagna elettorale, far dimenticare che proprio i Conservatori sono storicamente i maggiori sradicatori della sovranità democratica a favore dei mercati. Alla lunga questo vantaggio diminuirà, ma per ora i Tories possono riutilizzare la vecchia linea di Maggie Thatcher. Questa tradizione liberal-conservatrice, pur lottando per mercati sregolati, lo ha però fatto «contro» la Ue, il che in questa campagna elettorale torna preziosissimo. Per giunta la Ue, secondo la quota di classe lavoratrice di tradizione laburista passata allo Ukip, è poco convincente come garante di lavoro e diritti. Con questa dote di sentimento e voti Ukip, Theresa May può andare nei collegi del nordest inglese, da sempre laburisti, e affermare: «L’orgogliosa e patriottica classe lavoratrice non ha affatto tradito il Labour, è Corbyn che ha tradito lei».

Da qualche giorno, però, prende quota la reazione di Corbyn. Sono assai popolari (fin quasi al 70% di approvazione) le politiche proposte nel suo nuovissimo manifesto: ritorno a ferrovie pubbliche dopo la disastrosa privatizzazione; salario vitale minimo a 10 sterline; centinaia di miliardi di spesa sostenibile in infrastrutture; ricostruzione della sanità pubblica avvilita dai tories; garanzia di accesso ad asili per l’infanzia; tassazione severa di grandi redditi ed elusione fiscale; cancellazione della precarietà estrema nei contratti di lavoro a zero hours; cancellazione delle altissime tasse universitarie. Infine: trattare con la Ue una Brexit che garantisca i diritti del lavoro e del sindacato (senza dimenticare 10.000 poliziotti in più alle frontiere). Come nota il New Statesman, un programma di normale socialismo europeo. Ovvero, l’idea di sovranità democratica di un partito socialista: recuperare spazio decisionale e partecipativo mediante politiche che incidano positivamente sulle condizioni di vita. Corbyn sta cercando di indicare così il recupero di rappresentanza democratica reale dopo la Brexit. Tutto, anche la politica migratoria, sarà subordinato alla crescita, quantitativa e qualitativa, dell’economia. Così, nei sondaggi sale subito al 32%: un incremento considerevole, pur rimanendo scarsa la fiducia in lui come primo ministro. Tuttavia, per ora questo impianto conserva una debolezza di fondo, poiché la sovranità democratica di una socialdemocrazia consta di due elementi: una domanda interna che sale in favore di maggiore e meglio pagato lavoro, e una domanda estera che fa lo stesso, in virtù di analoghi meccanismi in funzione anche altrove. Mai si è trattato di puro protezionismo isolazionista, bensì di paesi aperti, simultaneamente in grado di costruire democraticamente la propria società, senza lasciarsi sbranare dalla logica del puro mercato. E che proprio per questo sono in grado di esportare verso gli altri, tutti, che hanno redditi da lavoro capaci a loro volta anche di importare. Questa è l’Europa che manca, da decenni. Se fa questo in modo egemonico la versione socialista della sovranità, vince. Altrimenti, di fronte alla rabbia odierna delle classi medie e disagiate, il Labour, almeno per ora, ha minore mordente. Perciò le accuse personali a Corbyn, al netto dei suoi limiti, paiono esagerate. Per questo rimane per ora incolmabile il vantaggio di Theresa May, che chiama tutti a raccolta per appoggiarla nei negoziati contro una Ue indifendibile (se non dalle minoranze scozzesi e nordirlandesi).

Per ora è il trasformismo tory (da neoliberale a sovranista) a comandare, a riprova che nelle presenti condizioni socioeconomiche il nazionalpopulismo intacca tutto: a poco valgono vittorie come quella di Macron in Francia. La contromossa di Corbyn, efficace e logica, sembra effettuare un recupero, ma una vittoria appare improbabile e clamorosa.

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