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Terza occupazione di Lima. «Il popolo ripudia Dina»

Terza occupazione di Lima. «Il popolo ripudia Dina»Lima , 19 luglio, manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni di Dina Boluarte e giustizia per le vittime della repressione – Ap

Perù Si riaccende la protesta in Perù contro la presidente Boluarte e per avere giustizia dopo la strage di manifestanti dello scorso inverno. Piazze presidiate da società civile, collettivi Lgbtiq e femministi, studenti, sindacati

Pubblicato circa un anno faEdizione del 23 luglio 2023

Un nuovo ciclo di proteste sta rapidamente prendendo forma in Perù: dopo la chiamata nazionale a Lima dello scorso 19 luglio, ieri si è svolta una nuova giornata di mobilitazione nella capitale e in numerose province, e nuovi appuntamenti sono previsti per il 28 e 29 luglio, giornate in cui il Perù celebra la festa nazionale.
L’organizzazione era ripartita in sordina già da maggio e soprattutto dalla regione di Puno, con le stesse richieste emerse dopo la destituzione del presidente Pedro Castillo, lo scorso 7 dicembre, e che sono tutt’ora vigenti. Se allora le manifestazioni erano partite spontaneamente contro la nuova presidente designata dal Congresso, Dina Boluarte, oggi alla sua rinuncia si aggiunge la richiesta di giustizia e riparazione per le vittime della repressione della polizia che si è abbattuta brutalmente sulla popolazione in piazza nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio. La Corte Interamericana per i Diritti Umani parla di 49 morti causate da arma da fuoco, di cui 10 ad Ayacucho e 18 a Juliaca, in due sole giornate di vero e proprio massacro nel sud andino del Paese, che da quel momento è zona militarizzata.

ALTRE 11 PERSONE sono state uccise nel contesto delle mobilitazioni, oltre a 7 poliziotti; si contano più di mille feriti e diverse persone sono ancora in carcere preventivo aspettando un processo, dopo sei mesi dall’inizio delle proteste. Da parte del governo sono state offerte compensazioni economiche ma sulle proprie responsabilità politiche c’è completo silenzio, così come regna l’impunità ai posti di comando delle forze di sicurezza, artefici delle stragi.
Per queste ragioni le prime richieste oggi nelle piazze sono le dimissioni di Dina Boluarte e l’anticipo di nuove elezioni nazionali: tra gli slogan durante la partecipata manifestazione nel centro di Lima il 19 luglio primeggiavano i canti «Dina, il popolo ti ripudia» e «il sangue versato non sarà dimenticato». A questo reclamo comune se ne aggiungono altri, portati avanti da settori specifici: alcuni spingono per una nuova Costituzione, più in generale la richiesta è la chiusura del Congresso, altri ancora mettono l’accento sulla sovranità nazionale, chiedendo di espellere le truppe statunitensi che si trovano in Perù per «attività di cooperazione e allenamento» con le forze armate peruviane.

LISBETH, PROFESSORESSA, è in piazza con la bandiera del sindacato a reclamare innanzitutto un miglior salario. Aggiunge che «Castillo è in carcere per errori che ha commesso, non lo difendo, ma Dina è un’impostora e si deve dimettere». Oscar è sceso in piazza con la sua famiglia, sottolinea il fatto che la stampa nazionale mente e tratta i manifestanti come terroristi. È una pratica già usata nei mesi scorsi, chiamata terruqueo, che criminalizza qualsiasi espressione legittima di protesta sventolando il fantasma di Sendero Luminoso, organizzazione armata marxista che in realtà non è più attiva dagli anni Novanta in Perù, e cerca così di legittimare la repressione.
La campagna per seminare paura è l’altra strategia che il governo ha usato per scoraggiare la cosiddetta “terza occupazione di Lima” prevista per il 19 luglio. Ha cominciato la stessa Boluarte, dopo l’incontro bilaterale con il presidente dell’Ecuador a metà giugno, quando ha lanciato alla stampa la polemica domanda: «Quanti altri morti volete?» lasciando intendere che le prossime proteste sarebbero state represse con la stessa violenza delle precedenti e addossando le proprie responsabilità di massima autorità dello Stato agli organizzatori della mobilitazione.

NEI GIORNI PRECEDENTI al 19 luglio nei principali punti d’accesso alla capitale sono stati montati posti di blocco per perquisire e identificare i cittadini in ingresso a Lima come se fossero delinquenti, e per i cortei sono stati schierati 24mila agenti, che nei giorni precedenti si sono esibiti in formazione militare per le vie della città, con la giustificazione di una prova generale della parata che sfilerà per la festa nazionale a fine mese.

Nonostante i numerosi messaggi screditanti delle istituzioni e dei media, a Lima il ministero dell’Interno ha contato 21.000 persone, mentre la Coordinadora Nacional Unitaria de Lucha del Perù parla di 100mila partecipanti. Nonostante alcuni episodi di repressione a Lima e a Huancavelica, i cortei si sono svolti perlopiù in maniera pacifica. Si tratta insomma di un buon risultato per le centrali sindacali, il coordinamento per i diritti umani e le organizzazioni popolari provenienti dalle regioni rurali.

ANCHE LA PRESENZA della società civile di Lima, che ha visto la partecipazione dei lavoratori della cultura, collettivi femministi e Lgbtiq, studenti universitari, sindacati e perfino qualche partito politico di sinistra e di centro, insieme alle manifestazioni realizzate in 59 province del Perù, ha aiutato ad aprire le porte a nuovi appelli e attività, che si prevedono in aumento in queste settimane. Lo scenario attuale lascia pensare insomma che il malcontento profondo del popolo peruviano contro le proprie istituzioni possa tornare a esprimersi ora con forza nelle piazze di tutto il Paese.

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