«Con l’inchiesta di Fanpage è come se fosse saltato un tappo» ci dice al telefono un membro dell’assemblea costituente dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo. E in effetti le segnalazioni emerse di diverse dipendenti in cui viene restituito il clima di terrore che si vive dentro il Teatro di Roma – il femminile non è un caso, sono soprattutto loro a subire e ad essersi fatte avanti – stanno facendo finalmente unire i puntini in merito alla gestione dello stabile romano.

Lo strapotere dei tecnici legati al sindacato di destra Libersind, per chi conosce e frequenta l’Argentina e l’India, non è certo una novità. È quasi un leitmotiv, a sentire le compagnie che si trovano ad affrontare le difficoltà più disparate. Una situazione raccontata a mezza bocca perché farsi nemici i tecnici, si sa, vuol dire non andare in scena, o andarci in condizioni disastrose. In alcuni casi, tuttavia, sono stati gli stessi tecnici a mostrare pubblicamente di avere «il coltello dalla parte del manico».

Ci ricordiamo il gravissimo «sciopero» –- si trattò di sciopero degli straordinari serali, che non impattò sul salario dei tecnici – che tenne ferma la programmazione del teatro India a giugno del 2021. In quel contesto, il sindacato calò la maschera: a essere contestata era, infatti, la direzione di Francesca Corona che Federico Mollicone, esponente di Fratelli d’Italia oggi presidente della commissione Cultura alla Camera, definì colpevole di aver trasformato il teatro in un «centro sociale». Nei volantini, che tutti i giorni i tecnici affiggevano, si arrivò persino a fare il nome che la squadra auspicava sarebbe diventato il nuovo direttore: Luca De Fusco. Una mossa maldestra che oggi Libersind non ama ricordare, ma di cui si può trovare traccia nella stampa di quel periodo.

Ecco allora che risulta ancora più grave quanto accaduto lunedì sera, a margine dello spettacolo a ingresso gratuito Il Premier con la regia di Piero Maccarinelli. Gli spettatori infatti ci raccontano di aver ricevuto un’insolita richiesta: firmare un appello redatto da Libersind a difesa del capo tecnico Sandro Pasquini – che è, sarà un caso, anche il presidente dello stesso sindacato – direttamente chiamato in causa da lavoratori e lavoratrici nella sopracitata inchiesta di Fanpage. Una richiesta indirizzata anche ai dipendenti del teatro più fragili perché precari – il 43% dei dipendenti di TdR ha un contratto stagionale o altre formule di contratto breve, che non rispecchia il lavoro continuativo svolto – e per i quali risulterebbe più difficile rifiutare di firmare.

La situazione, come ci raccontano più persone, è delicata proprio per il clima di paura crescente. Il punto è che la saldatura tra il sindacato Libersind e il neo-direttore Luca De Fusco rischia di rendere ancora di più complessa la vita dei dipendenti «non allineati» all’egemonia culturale in via di costruzione. Del resto la direzione del teatro ha preso posizione: «Il presidente Siciliano e il direttore De Fusco ribadiscono la fiducia a tutti i lavoratori e sottolineano con rammarico come un clima di sospetto, che per altro non si materializza in manifestazioni di reali denunce documentate, finisca per arrecare un danno al Teatro».

Come sottolineano dall’assemblea costituente dei lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, le accuse di mobbing e sessismo nel TdR sono solo la punta dell’iceberg di un panorama di malcostume ampio. Nei prossimi mesi si giocheranno le direzioni di altri stabili in Italia, tenere alta l’attenzione diventa prioritario. Così, se nei prossimi giorni alcuni appuntamenti saranno mirati a dimostrare la solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici dell’Argentina (probabile un presidio domani), allo stesso tempo l’assemblea si è data appuntamento lunedì prossimo alle 18, presso Spin Time Lab, per continuare a immaginare un teatro del tutto diverso.