Visioni

«Totentanz», l’inizio e la fine nell’utopia di Förster-Nietzsche

«Totentanz», l’inizio e la fine nell’utopia di Förster-NietzscheUna scena di «Totentanz»

Cinema Il regista messicano Pablo Sigg ha filmato i superstiti della colonia razzista Nueva Germania in Paraguay. Il film sarà proiettato il 24 settembre alle ore 17 all'Azzurro Scipioni di Roma, a seguire un incontro tra l'autore e Fabrizio Ferraro

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 24 settembre 2024

Quella di trovarci in una lunga fine è una sensazione propria della nostra epoca. Se l’Apocalisse c’è già stata, cosa viene dopo? (How could hell be any worse? si chiedeva il gruppo punk rock Bad religion). Questo esprit du temps è stato magnificamente messo in immagini da Béla Tarr ne Il cavallo di Torino (2011) e proprio quel film del maestro ungherese richiama Totentanz di Pablo Sigg, seppure all’interno di una ricerca del tutto personale, che va avanti da un decennio. Ci sarà la possibilità di vedere il film – presentato per la prima volta l’anno scorso alla Viennale – e di incontrare il regista messicano oggi a Roma, alle 17 al Cinema Azzurro Scipioni. Alla proiezione seguirà un incontro tra Sigg e Fabrizio Ferraro, e proprio al regista romano e alla sua passione per l’incontro sulle/con le immagini si deve questa possibilità.

Totentanz, si diceva, è frutto di un percorso iniziato dieci anni fa quando Sigg ha iniziato a interessarsi a ciò che resta di Nueva Germania, la colonia utopica per la salvaguardia della «razza ariana» fondata nella giungla del Paraguay nel 1886 da Elisabeth Förster-Nietzsche, sorella del filosofo – come è noto, tanto lei incise nella strumentalizzazione del suo pensiero a uso e consumo del Terzo Reich. È così che Sigg ha incontrato i fratelli Friedrich e Max Josef Schweikhart, i cui genitori appartenevano a due delle quattordici famiglie «puramente ariane» che seguirono Förster-Nietzsche per piantare in Paraguay «il seme di una nuova Germania».

FRIEDRICH e Max Josef hanno trascorso la loro esistenza completamente isolati, in una zona remota della giungla, vivendo di agricoltura di sussistenza. Sono gli unici superstiti di quel progetto autodistruttivo, ignari dello scorrere del tempo e delle invenzioni degli ultimi due secoli. Pablo Sigg ha quindi fatto una scommessa: filmare i due fratelli, che mai erano entrati in contatto con le immagini in movimento. «La prima volta che hanno visto una panoramica della giungla sullo schermo del video, hanno ipotizzato – come forse avrebbero fatto Zenone o Parmenide – che in realtà fossero gli alberi a muoversi e non la telecamera, come se a modificare la realtà fosse la telecamera e non viceversa. Oggi credo che gli Schweikhart avessero ragione: quegli alberi, in un freddo pomeriggio di giugno, non erano più gli stessi; una sorta di modificazione dimensionale si era impadronita di loro. Tale era la trasformazione che gli Schweikhart contemplavano con vertigine e fascino. E in qualche modo, filmarli è stato allo stesso tempo vertiginoso e affascinante, come se filmare questi uomini che non avevano mai visto le immagini in movimento equivalesse a filmare l’umanità per la prima volta» ha affermato Pablo Sigg. Il primo film realizzato con i fratelli è un documentario, The Will to Power (2013), ma Sigg ha presto capito che Friedrich e Max Josef avevano il talento e la capacità per sporgersi verso la recitazione. E così è nato Lamaland (2018), che dà il titolo anche al ciclo di tre film che ha inaugurato e di cui Totentanz rappresenta il secondo capitolo.

IN QUEST’ULTIMO lavoro, il regista è stato l’unico membro della crew, per poter davvero cogliere la densità dello scorrere del tempo nella vecchia casa abitata dai due fratelli e nella prorompente vegetazione circostante. Sigg firma così oltre alla regia sceneggiatura, fotografia, suono e produzione. «Gli Schweikhart non avrebbero mai tollerato una troupe cinematografica, per quanto piccola fosse. Ad eccezione dell’autista che mi portava ogni mattina alle quattro nella loro remota proprietà da un’altra località lontana, ero l’unico a disturbare la loro solitudine. E a poco a poco, inconsapevolmente, ne sono diventato parte» racconta Sigg. L’antefatto di Totentanz è l’uccisione reciproca dei due fratelli, avvenuta «in un freddo pomeriggio d’agosto». C’è l’eco biblica di Caino e Abele naturalmente, ma «alla fine piuttosto che all’inizio» dei tempi, come afferma lo stesso regista. Nella vita contemplativa di Friedrich e Max Josef, che si colloca quindi in una dimensione post-mortem, l’esistenza si mostra nei suoi termini minimi spalancando una domanda sul senso, dove la natura vibra all’unisono con la carne e i fantasmi della razza sembrano ombre lontane.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento