Le associazioni imprenditoriali dichiarano di essere indisponibili in questa fase a discutere di aumenti salariali, considerato l’aumento di costi indotto da energia e materie prime, in un quadro di incertezza e rallentamento del ciclo economico globale.

Il punto per loro non è tanto la spirale inflattiva prezzi- salari, quanto piuttosto la perdita di competitività delle imprese esportatrici, quando non la speranza di un recupero sotto quel versante.

I sindacati d’altra parte si muovono in un contesto di forte debolezza.

Da un lato abbiamo un quadro regolatorio sfavorevole, in cui recupero dell’inflazione nelle retribuzioni esclude dal computo i beni energetici importati, ovvero proprio il fattore che in questo momento contribuisce maggiormente alla compressione del potere d’acquisto per milioni di persone.

Dall’altro la cosiddetta ripresa dell’occupazione si è caratterizzata per l’ulteriore crescita dei contratti precari e quindi per uno stato del mondo del lavoro caratterizzato da precarietà e ricattabilità.

In un quadro simile, è forte il rischio che su lavoratori e pensionati si scarichi per intero il peso di prezzi in forte aumento, soprattutto sul lato dei beni indispensabili alla vita, con l’effetto di un impoverimento di massa del paese.

Questo sarebbe del tutto inaccettabile, considerando quanto in Italia già sia aumentata negli ultimi anni la disuguaglianza, fino a livelli difficilmente compatibili con un sistema democratico.

Appare quindi più che mai urgente un intervento della politica, con la finalità esplicita di riequilibrare un mercato che in questo momento appare particolarmente incapace di distribuire redditi e risorse con livelli pur minimi di equità.

Partiamo dai 40 miliardi di extraprofitti stimati per le Società del settore energetico.

Il Governo è intervenuto con un ridicolo prelievo fiscale straordinario del 10%.

Ma se noi assumiamo che quei profitti derivino da una distorsione straordinaria, del tutto indipendente da capacità imprenditoriali e scelte di investimento, allora diventa evidente che il prelievo dovrebbe essere almeno del 90%, considerando che parliamo di proventi estratti alle famiglie e al sistema imprenditoriale italiano.

Le risorse così ottenute potrebbero essere immediatamente destinate in parte a ridurre i costi energetici delle aziende e in parte all’elargizione di una mensilità aggiuntiva per i lavoratori a redditi medi e bassi, in grado di compensare gli effetti dell’inflazione per l’anno in corso.

A rendere più capiente la dotazione, dovrebbe essere un prelievo straordinario e progressivo sui patrimoni superiori al milione di euro, che anticipi una riforma generale della tassazione della ricchezza, la cui necessità è dimostrata anche dall’attuale dibattito attorno alla delega fiscale.

A contribuire dovrebbero essere chiamate anche banche e assicurazioni, i cui bilanci 2021 si sono chiusi con utili in crescita a doppia cifra.

Su un altro versante, si dovrebbe intervenire ponendo un tetto immediato al prezzo del gas, e quindi indirettamente dell’energia elettrica, come chiesto anche da Confindustria.

Non è accettabile che la tutela in sede europea degli interessi di Olanda e Norvegia blocchi una misura fondamentale per la tenuta del nostro sistema produttivo.

Assunti questi provvedimenti, si potrebbe verificare più serenamente e in un quadro di maggiore equità sociale se l’inflazione sia un fenomeno di breve durata o destinato a perdurare, nonché programmare finalmente l’uscita dell’Italia dalla dipendenza da fonti fossili.