Adesso c’è una data: il 27 febbraio – penultimo giorno utile per consentire di contingentare i tempi e dunque arrivare con certezza al voto finale nel successivo mese di marzo – la legge elettorale sarà in calendario nell’aula della camera. Lo ha deciso ieri la conferenza dei capigruppo di Montecitorio con il voto dei quattro partiti che più spingono nella corsa alle urne: Pd, Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia.

Il calendario prevede che la scadenza del 27 sarà rispettata solo «ove la commissione abbia esaurito i lavori», ma si tratta di una formula di rito che potrebbe essere facilmente superata da una decisione a maggioranza, portando ugualmente il testo in aula. Esattamente com’è avvenuto con l’Italicum, la legge che si intende (si deve) cambiare dopo la bocciatura della Corte costituzionale. Anche lo schema di attacco che sta seguendo Renzi è lo stesso: l’Italicum cominciò la sua corsa proprio tre anni fa con uno scarto dal senato alla camera – dove i numeri sono più favorevoli alla maggioranza – e una calendarizzazione rapida necessaria a contingentare i tempi. Ma adesso il segretario del Pd non ha più a disposizione quell’anno e mezzo che gli è servito tra il 2014 e il 2015 per condurre in porto la legge «che tutta Europa ci copierà», e che invece è finita sotto i colpi dei giudici costituzionali. Soprattutto se vuole andare a votare, come vuole, a giugno. Il programma della corsa lo illustra il vice presidente grillino della camera Luigi Di Maio: «A metà marzo la camera potrà approvare la legge e il senato in pochi giorni la dovrà ratificare».

Una tabella di marcia che naturalmente non piacerà ai senatori, il cui ruolo i 5 Stelle hanno appena difeso nel referendum costituzionale. Eppure è significativo che sia proprio un grillino a renderla esplicita. Viene infatti da loro la proposta che potrebbe essere approvata più velocemente, perché si tratta dell’estensione al senato del sistema residuato alla camera dopo la sentenza della Consulta. I grillini lo chiamano Legalicum. Non è così semplice come viene raccontato perché gli aggiustamenti da fare sono più di uno, e lo riconosce lo stesso testo presentato dal grillino Toninelli che parla di «adattamenti» e di disposizioni da estendere dalla camera al senato «in quanto compatibili». Non è superabile la disposizione costituzionale in base alla quale il senato è eletto «su base regionale», dunque il riparto nazionale e il sistema di premi e soglie nazionali previsto dall’Italicum non funziona. Come riconosce anche un testo molto simile, presentato dal Pd Lauricella, che infatti definisce la soglia su base regionale. Su nessuno dei due testi è cominciata la discussione in prima commissione a Montecitorio, né può cominciare dal momento che si basano su una sentenza della Corte costituzionale che ancora non c’è, è solo stata annunciata con il comunicato stampa della settimana scorsa e arriverà con le famose «motivazioni» probabilmente a ridosso della direzione del Pd del 13 febbraio.

Lì ci si aspetta da Renzi un’ulteriore accelerazione: o alla camera si trova velocemente un’intesa o si va a votare con i due sistemi residuati dalle sentenze della Corte costituzionale, l’Italicum amputato del ballottaggio alla camera e il Consultellum al senato. Una forzatura costruita però su una finzione, e cioè che sia possibile effettivamente votare con due sistemi non omogenei. Mentre invece è evidente – e le motivazioni della Consulta lo confermeranno – che il parlamento deve intervenire nella direzione di quella «omogeneità e armonizzazione» raccomandata dal presidente Mattarella. La notizia di ieri sera è dunque meno clamorosa – malgrado Brunetta abbia subito gridato al golpe – l’iter parlamentare si aprirà nei tempi previsti. L’intenzione di Renzi è quella di strappare e lo farà inevitabilmente, anche perché alla commissione tra la sentenza della consulta e la tagliola dell’aula sono riservate al massimo due settimane, un tempo necessario appena a istruire il lavoro con le audizioni. Però la via del parlamento resta una via faticosa per il segretario non più premier. Se può bruciare la commissione (dove la presenza della minoranza Pd resta considerevole, e di certo tornerà in auge la contro proposta del Mattarellum come da disegno di legge Speranza), non potrà evitare i nodi tecnici. Per esempio: estendere i capilista bloccati anche al senato farebbe molto comodo a Renzi, ma bisognerà disegnare 80 collegi plurinominali e prevedere un sistema di opzione per i pluri eletti meno surreale del sorteggio, indicato dalla Corte come extrema ratio.