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Succede a Trieste dove l’astensionismo vola

Succede a Trieste dove l’astensionismo vola

Per la maggior parte delle persone la politica oggi è inutile, o, peggio, dannosa alla propria vita. Non possiamo negare a queste reazioni, anche buone ragioni. Però fuori dai circuiti […]

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 2 novembre 2016

Per la maggior parte delle persone la politica oggi è inutile, o, peggio, dannosa alla propria vita. Non possiamo negare a queste reazioni, anche buone ragioni. Però fuori dai circuiti partitici e istituzionali – se non in contrasto con essi – si stanno consolidando nel volontariato, nell’associazionismo, nei comitati cittadini, esperienze che la politica stanno cercando di reinventarla.

È successo anche a Trieste e vogliamo raccontare la nostra storia. E’ ambientata in una città che ha perso poco meno di 27.000 abitanti negli ultimi 25 anni e dove 6,5 giovani su 1.000 sono emigrati all’estero nel 2014. È la stessa città nella quale, nonostante il plotone di 747 candidati alle ultime elezioni comunali, metà dell’elettorato è rimasto a casa e il Sindaco in carica è stato votato da meno di un quarto dell’elettorato.

L’astensionismo, e il clima di generale indifferenza che hanno accompagnato la fine della campagna elettorale, giocata a colpi di spot e promesse irrealizzabili, ci hanno spinto a voler cambiare le cose. L’appello “Tryeste – cambiare la città per non dover cambiare città” (Try sta per “provare”) con dieci proposte per il futuro, prova a irrompere in un dibattito elettorale involuto con alcuni punti chiari e concreti, dalla ripubblicizzazione dei servizi locali alla rottura del Patto di Stabilità, dalla lotta al lavoro povero e gratuito alla costruzione di una rete delle città per i richiedenti asilo.

Dopo le elezioni abbiamo voluto concretizzare quanto avevamo scritto anche nell’appello: che il tempo della politica è sempre – non solo le campagne elettorali – e il luogo della politica è ovunque – non solo le istituzioni rappresentative -. Così, mentre partiti e liste civiche smontavano i gazebi e staccavano i manifesti dalle sedi, noi ci siamo messi a immaginare un modo diverso per raggiungere chi era rimasto ai margini del grande circo elettorale.

Abbiamo pensato di promuovere una tre giorni di confronto su tre dei dieci temi dell’appello: lavoro, cultura e spazi pubblici. “Parla la città” è il nome che abbiamo scelto per questa iniziativa, riprendendo un interessante saggio di Saskia Sassen che individua nelle peculiarità della città, il motore della trasformazione della società.

Con un pizzico di follia e molto entusiasmo dal 14 al 16 ottobre abbiamo messo in piedi tre assemblee aperte, innanzitutto nel senso più concreto del termine, dato che si sono svolte – complice un inaspettato bel tempo – in tre piazze di tre quartieri della città, e provando a renderle aperte anche alla partecipazione di chi, solitamente, è lasciato ai margini dalla solita politica. È più efficace caratterizzarsi a partire da proposte e pratiche radicali su temi centrali in questa fase storica – il lavoro e il welfare, l’accesso alla conoscenza, la giustizia ambientale – che aggrappandosi a parole e identificazioni ormai consumate e ambigue, come il concetto di sinistra e i suoi derivati.

Dalle tre assemblee sono emerse alcune proposte: dalla realizzazione di percorsi e interventi culturali con i residenti di aree periferiche della città, alla denuncia pubblica di casi di lavoro povero o gratuito, fino alla progettazione partecipata del riutilizzo di alcuni spazi pubblici abbandonati.

Gli ostacoli lungo questa strada sono ancora tanti.

Mentre però si discute, anche in maniera legittimamente accesa, su che forma e che contenuti dovrà avere il partito che verrà, potrebbe essere significativo iniziare a dare qualche esempio concreto del perché oggi, nel 2016, la politica può essere utile per cambiare le vite delle persone. Per esempio, chi siede in Parlamento potrebbe prendere spunto dalla terza edizione di Impulsa, il bando per il mutualismo promosso da Podemos con 500.000 € provenienti dagli stipendi dei parlamentari. Mettere in piedi da domani una cosa del genere anche in Italia potrebbe essere un buon modo per spiegare a chi vede nella politica un nemico della propria vita che la realtà può essere un’altra.

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