Fra tutti gli attacchi che il governo Meloni poteva fare alla commissione Europea quello sui ritardi della risposta sull’ingresso di Lufthansa in Ita è il meno comprensibile. Ancor di più perché è stato tirato in ballo il commissario all’Economia Paolo Gentiloni che nulla a che fare con il dossier.

Paradossale diventa la sortita di Meloni e Giorgetti se si pensa che il governo patriota e sovranista sta facendo il gioco e gli interessi di quella Germania che invece cerca di combattere sul nuovo Patto di stabilità e il ritorno alla più stretta austerità.

Il nervosismo di Giorgetti è comunque più che giustificato. È stato il ministro leghista a decidere di puntare tutto sulla soluzione Lufthansa, facendo marcia indietro rispetto al suo predecessore Daniele Franco che aveva invece scelto il fondo americano Cerberus. Una virata che ha portato però a una lunga trattativa con pochi precedenti al mondo. Lufthansa infatti si trova nell’incredibile posizione di forza di comandare in una società in cui sarà azionista di minoranza: il «Memorandum of understanding» firmato a maggio prevede che i tedeschi mettano soli 325 milioni per avere il 41% della compagnia nata sulle ceneri di Alitalia (ma decollata con il 99% di aerei e di dipendenti della vecchia compagnia di bandiera) potendo esprimere l’amministratore delegato con pieni poteri.

Proprio la richiesta del Mef- ancora azionista unico – alla Commissione europea di nominare il tedesco Joerg Eberhart, ex amministratore delegato di Air Dolomiti, come nuvo ad di Ita ha portato a rendere tesi i rapporti con Bruxelles.

Il diniego informale dell’Antitrust europeo è facilmente spiegabile: perché il governo italiano deve nominare un uomo Lufthansa a capo di una compagnia ancora totalmente di sua proprietà senza attendere il via libera all’ingresso dei tedeschi da parte di Bruxelles?

Meloni e Giorgetti in esplicito non riferiscono questo episodio ma denunciano i ritardi di Bruxelles. Ritardi che però sono dovuti a ragioni non politiche che riportano a Daniele Franco. La inamovibile e potentissima Margrethe Vestager, da un decennio commissaria per la Concorrenza, si è candidata alla presidenza della Banca europea degli investimenti – un classico: una liberista che fa finta di fare la keynesiana – e per questo si è messa in aspettativa dal suo ruolo fino alla nomina per la quale l’altro candidato è proprio Franco, a sottolineare la continuità fra il governo Draghi e quello Meloni.

Per questo motivo, la competenza sulla Concorrenza è temporaneamente passata al commissario alla Giustizia, il belga Didier Reynders. L’accusa del governo italiano è che a bloccare il via libera all’ingresso di Lufthansa in Ita siano gli interessi di AirFrance, gigante concorrente dei tedeschi. Ma al momento in mano a Giorgetti e ai suoi ci sono solo congetture che si basano sul raffronto con trattative precedenti: «Ci hanno fatto troppe e strane richieste», è il refrain.

Da Bruxelles invece si continua a dire che i tempi sono quelli previsti per questo tipo di operazioni societarie e si dà per scontato un via libera, seppur condizionato.

E proprio queste «condizioni» sono la vera paura di Lufthansa. A partire dagli slot: i permessi di volo. Come anticipato dal manifesto, gli slot di Linate sono ambitissimi perché l’aeroporto milanese è decisivo, specie per le compagnie low cost: EasyJet e Wizzair hanno già denunciato la posizione dominante che avrebbe Lufthansa, mentre Ita si è accaparrata con un solo euro tutta Alitalia, compresi slot del valore di milioni di euro l’uno.

Ma questo scempio è giustificato dal diktat di Bruxelles che impose la nascita di Ita in «totale discontinuità con Alitalia». I tribunali del Lavoro di Roma e Milano, utilizzando il contratto segreto di acquisto reso pubblico dal manifesto, lo hanno sbugiardato iniziando a reintegrare i lavoratori Alitalia in nome della cessione di ramo d’azienda e la continuità aziendale. Vedremo quando se ne accorgeranno anche Giorgetti e Meloni.