La Banca centrale Europea (Bce) non dovrebbe guidare «come un pazzo a fari spenti nella notte». È piaciuta la metafora usata ieri a Londra in un convegno da Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della Bce,di lui si era parlato come papabile ministro dell’economia nel governo Meloni. La citazione di «Emozioni» di Lucio Battisti, celebrata nel suo intervento in inglese con un retrogusto anni Settanta, dovrebbe essere completata da un altro verso della canzone: «Quel qualcosa è dentro me, ma nella mente tua non c’è».

Quello che la «colomba» Panetta sta dicendo ai «falchi» della Bce è più chiaro di quanto ha fatto trasparire il sin troppo prudente governatore di Bankitalia Ignazio Visco due settimane fa al congresso dell’Assiom Forex: nella mente degli sparvieri europei che fanno il verso all’aquila americana della Federal Reserve il «qualcosa che non c’è» sono i salari, travolti dalla corsa nella notte a fari spenti «per vedere se poi è tanto difficile morire».

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Fuori dalla metafora qui si sta parlando del blocco dei salari, della volontà di non tassare i mega-profitti realizzati grazie alla policrisi capitalistica e del loro nesso con il record dell’inflazione. Parliamo del fatto che la crisi la stanno pagando tutti i lavoratori, e non, che hanno perso almeno il 10% del potere di acquisto delle loro paghe modeste. A marzo la Bce darà un’altra mazzata: dopo l’aumento dei tassi di 50 punti base del 2 febbraio ne arriverà un altro di altri 50 punti. L’uscita dai territori negativi e l’ascesa di tre punti totali al 2,5% conferma una lettura della fase economica a vantaggio delle rendite, delle imprese, del capitale. A Francoforte, dove volano i falchi della Bce, pensano di riportare al 2% l’inflazione entro due anni. Chi paga sono le famiglie che pagheranno i mutui più caro di oltre 160 punti base, oggi attestati a quasi il 5,8%. Senza contare il costo dei conti correnti sul quale si stanno rifacendo le banche che hanno realizzato guadagni interessanti.

In fondo, ha continuato Panetta, i sindacati europei a cominciare da quelli italiani, non chiedono nemmeno «una piena compensazione» di quanto hanno perso i salari dall’inflazione. Avanzano la più modesta richiesta di «redistribuzione dell’onere imposto dal rialzo dei prezzi senza che ciò conduca necessariamente a una spirale tra i prezzi e i salari», come accadde tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta. Siamo lontanissimi dall’idea per cui il salario sarebbe una «variabile indipendente». Figuriamoci, non ci troveremmo nella poltiglia dell’attuale impotenza organizzata. Dall’alto.

I falchi non sono sordi e ci vedono benissimo. La politica delle banche centrali, a cominciare dalla Fed americana, intende colpire preventivamente i lavoratori, in mancanza di un’offensiva sociale di cui non esiste l’ombra. Questo significa affossare, ancora prima della nascita, ogni vagito conflittuale. Questo vale per l’Italia. In Francia, Spagna o Inghilterra un conflitto almeno esiste. Davanti alle piroette dei falchi che volano su Francoforte quelli delle colombe sembrano tutt’al più vagiti. Qui non si contesta la lettura errata, o meglio di classe, della politica monetaria. Si cerca di moderarla senza nemmeno riuscirci. Ma ciò che è peggio, e giustamente inquieta il fronte più ragionevole tra i banchieri centrali, è che i falchi non hanno idea degli effetti prodotti dalla loro politica. «È troppo presto – ha detto ieri Philip R. Lane, un altro membro del comitato esecutivo della Bce – per concludere se queste condizioni più restrittive riusciranno a frenare sufficientemente la domanda e quindi a rallentare notevolmente l’inflazione. Gran parte dell’impatto finale sull’inflazione delle nostre misure fino ad oggi è ancora in cantiere».