L’inflazione è ancora troppo alta, e lo resterà nel medio periodo, ma bisogna continuare a moderare le richieste di aumenti dei salari reali per garantire il successo della lotta della Banca Centrale Europea (Bce) contro l’inflazione e per la stabilità dei prezzi. Lo ha detto il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco al 29° Congresso degli operatori finanziari Assiom-Forex ieri a Milano.

IL GOVERNATORE non ha nascosto i danni che i tassi alti e l’alta inflazione stanno provocando a imprese e famiglie. Ma ha ritenuto rischioso allentare i tassi perché l’inflazione potrebbe tornare a crescere. Tra i falchi e le colombe che si danno la caccia nel board della Bce Visco si è collocato in una posizione intermedia. Il tetto europeo al gas, il calo delle bollette, i mercati ottimisti, il fantasma della recessione che si allontana lo fanno ben sperare. Lunga però è la strada, i conti vanno tenuti in ordine per l’alto debito pubblico. Quello privato è basso, il risparmio delle famiglie alto. In mancanza di una politica salariale, bloccata da decenni, è questo il grasso da bruciare nel lungo inverno.

«PER RIPORTARE l’inflazione all’obiettivo – questo è stato uno dei passaggi più importanti del ragionamento di Visco – è fondamentale che in tutte le economie dell’area dell’euro le parti sociali adottino decisioni responsabili, volte a garantire che la dinamica di prezzi e salari resti coerente con il mantenimento della stabilità monetaria». E poi: «In termini reali la crescita delle retribuzioni trova il suo limite nell’evoluzione della produttività. Nel nostro paese, in particolare, dove sia la produttività sia i salari in termini reali ristagnano ormai da troppo tempo, giocheranno un ruolo fondamentale, nel creare condizioni più favorevoli all’attività delle imprese, gli investimenti e le riforme previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza».

QUELLA ESPOSTA da Visco è la tesi prevalente tra i vertici delle banche centrali euro-americane, la stessa che è stata fatta propria dai governi, compreso quello Meloni. La tesi esclude che la principale causa del record dei prezzi (in Italia 10,1% annuo nel 2022, tra le più alte in Europa) sia l’«inflazione da profitti» senza che ci sia stato un aumento dei costi di produzione e tanto meno uno dei salari che infatti stagnano o calano. Tale inflazione è stata causata dalle imprese multinazionali che hanno aumentati i guadagni già con la crisi pandemica e stanno facendo gli affari anche su quella energetica.

SOLO NEL SETTORE del gas-petrolio, senza parlare di quello farmaceutico, Shell ha accumulato 39,9 miliardi di dollari di profitti, i più alti in 115 anni di storia. Solo Eni in Italia ha chiuso il terzo trimestre 2022 con un utile netto a 3,73 miliardi, in aumento del 161% rispetto all’analogo del 2021. Qualcuno ha provato inutilmente, o quasi, a tassare gli «extraprofitti»: il governo Draghi. Tentativo ridimensionato ancora di più dall’esecutivo Meloni.

I BANCHIERI CENTRALI, e con essi i governi, ragionano in un altro modo: per evitare che un giorno l’inflazione da costi generi anche quella dei salari, bisogna tenere bassi i salari. Dietro questa ipotesi, che non ha riscontri nella realtà, fa capolino il fantasma della spirale inflazione-salari negli anni Settata-Ottanta. Oggi, per evitare che eventuali aumenti salariali trasferiscano l’inflazione sulle merci prodotte dai lavoratori, e acquistate dai consumatori, bisogna evitare che gli stipendi recuperino ciò che hanno perso con l’inflazione più alta da quarant’anni a questa parte. E, ha aggiunto Visco, bisogna aspettare che nei prossimi anni gli investimenti del «Pnrr» producano la famosa «crescita». Ma quest’ultima potrebbe non produrre un auspicabile aumento dei salari perché continuerà ad essere basata sul modello sociale e industriale attuale: produzioni di basso valore aggiunto, scarsa innovazione e produttività, precarietà di massa. In pratica, un circolo vizioso.

PER AVERE UN’IDEA di cosa è accaduto in Italia leggiamo il rapporto sui salari 2022 dell’Organizzazione Internazionale del lavoro (IIo). Nell’ultimo anno l’impennata inflazionistica ha eroso i salari con una riduzione di quasi 6 punti percentuali. La percentuale è più che doppia rispetto alla media dei paesi Ue. I salari reali sono crollati di 12 punti percentuali negli ultimi 15 anni. Moderandoli ancora andranno ancora a fondo. Ma questo è il minimo che può accadere quando non ci sono lotte generali sui salari. E non sol