«Riceviamo immagini e filmati agghiaccianti di decine di persone uccise e ferite in un altro bombardamento a una scuola dell’Unrwa che offriva rifugio a di sfollati nel nord della Striscia di Gaza». Lo ha scritto ieri pomeriggio su Twitter il capo dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Philippe Lazzarini, dopo che Israele ha effettuato un raid contro la scuola al Fakhura che ospitava migliaia di sfollati nel campo di Jabaliya, nel nord della Striscia di Gaza.

SECONDO IL MINISTERO della Sanità di Hamas i morti sarebbero almeno 82: 50 nel primo attacco, «all’alba», e altre 32 «tutti membri della stessa famiglia, tra cui 19 bambini» in un secondo bombardamento contro un’abitazione civile. Tali numeri non sono verificabili direttamente, ma diversi testimoni oculari hanno parlato di «molti cadaveri sparsi tra le macerie» e «scene terribili». Inoltre, la presenza diretta degli operatori delle Nazioni unite nell’area e la dura condanna di Lazzarini non lasciano adito a dubbi sul fatto che l’attacco sia avvenuto e abbia avuto effetti devastanti.

Non si è trattato dell’unico episodio tragico della giornata di ieri. A Khan Yunis, nel sud della Striscia, è stato colpito l’ospedale Nasser e il primario, citato dall’agenzia Afp, ha parlato di almeno 26 morti (attualmente stipati fuori dall’obitorio dell’ospedale) e 23 feriti. Tale attacco ha preoccupato soprattutto gli sfollati gazawi che dal nord della Striscia si erano rifugiati nella parte meridionale, in prossimità del confine egiziano, come intimato dalle forze armate israeliane durante i primi giorni dell’attacco.

ORA L’ESERCITO DI TEL AVIV fa sapere che si stanno «allargando le operazioni nel nord della Striscia, soprattutto a Zaitun e Jabaliya». Secondo i militari, nella località attaccata ieri mattina «ci sono il comando e il centro di controllo della Brigata nord di Gaza di Hamas» dove sarebbero di stanza 4 battaglioni operativi di Hamas «che operano intenzionalmente da aree civili». Sarebbe dunque questa la spiegazione per il raid di ieri mattina, anche se non ufficialmente e senza mai citare le vittime della scuola.

Nei giorni scorsi i soldati israeliani sono arrivati all’ospedale di Al Shifa, a Gaza city, che era stato presentato come «il quartier generale di Hamas». Nei sotterranei della clinica dovevano trovarsi rifugi, armi e, forse, gli ostaggi. Ad oggi non si è trovato quasi nulla. Sembrava che Israele avesse intimato l’evacuazione totale della struttura.

SECONDO AL-JAZEERA i medici palestinesi avevano dichiarato che non se ne sarebbero andati senza i malati e una fonte locale aveva spiegato che «non tutti sono riusciti a uscire: un certo numero di coloro che erano in ospedale se ne sono andati, ma altri sono rimasti, compresi i feriti e i malati». Il portavoce dell’esercito israeliano, tuttavia, ha negato che fosse stato mai dato un ordine di evacuazione, affermando invece di aver ricevuto «un richiesta del direttore dello Shifa per consentire ad altri abitanti di Gaza che erano in ospedale e che vorrebbero evacuare, di farlo attraverso un percorso sicuro». Poi il quotidiano israeliano Haaretz ha dato la notizia di «centinaia di persone che stanno lasciando l’ospedale al Shifa e si stanno incamminando a piedi verso la parte sud della Striscia».

ORDINE DI EVACUAZIONE o meno, l’ospedale è stato per giorni obiettivo primario delle forze armate di Tel Aviv e tuttora è al centro di intense operazioni militari, dunque la vita di chi si trova al suo interno è al pericolo in ogni caso. Sia per i rischi derivanti dal contesto bellico, sia per la mancanza di medicine, macchinari e, soprattutto, elettricità. Il carburante necessario per far funzionare i generatori che alimentano le macchine sanitarie continua a scarseggiare.

L’Unrwa fa sapere che venerdì Israele ha permesso l’ingresso di 120 mila litri di carburante, necessari «per permettere le attività dell’Onu e mantenere in funzione i sistemi di telecomunicazione» per 2 giorni. «Senza tutto il carburante che serve la popolazione avrà solo 2/3 del fabbisogno giornaliero di acqua potabile, mentre il sistema fognario rischia di collassare ed essere fonte di epidemie».