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Storia di Erlin, l’attivista perseguitato in Honduras che la Svezia non vuole

Storia di Erlin, l’attivista perseguitato in Honduras che la Svezia non vuoleErlin Mejía

Appeso a un filo Sarà la Corte di Strasburgo a decidere la sorte del 25enne leader degli "indignati" diversamente abili e della sua famiglia

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 19 dicembre 2020

È appeso a un filo il destino di Erlin Mejia Andino, attivista politico honduregno e difensore dei diritti umani di cui la Svezia ha respinto per tre volte la richiesta di asilo: sarà la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo a decidere se potrà restare in Svezia o dovrà far ritorno in Honduras, dove lui e la sua famiglia correrebbero gravissimi pericoli.

DI RAGIONI PER OTTENERE L’ASILO politico il 25enne Erlin Mejía, costretto su una sedia a rotelle, ne avrebbe in abbondanza. Oppositore del regime di Juan Orlando Hernández, al suo secondo e contestatissimo mandato dopo la gigantesca frode elettorale realizzata alle presidenziali del 2017, Erlin è stato oggetto di persecuzione e di minacce di morte a causa delle sue denunce contro la corruzione e il crimine organizzato e in particolare contro la rete di trafficanti di esseri umani attiva nel suo paese.

La sua lotta ha inizio già nel 2012, all’età di 16 anni, quando si unisce al Partido Libertad y Refundación (Libre), il braccio politico del Frente Nacional de Resistencia Popular nato dopo il golpe del 2009 contro il presidente Manuel Zelaya. «Il suo governo – ci racconta – aveva risvegliato una nuova speranza di cambiamento: non a caso l’ex presidente, che conosco personalmente e considero una brava persona, gode ancora dell’appoggio di una buona parte della popolazione».

IN HONDURAS Erlin acquista «una certa visibilità» per la sua lotta a favore dei diritti delle persone diversamente abili, partecipando anche alla fondazione del movimento degli indignati, nato nel 2015 per esigere, di fronte alla corruzione e all’impunità dilaganti nel paese, una Comisión Internacional contra la Impunidad (Cicih) analoga a quella che in Guatemala aveva minato, con le sue indagini sulla corruzione, potenti interessi politici e imprenditoriali (prima che l’ex presidente Jimmy Morales se ne sbarazzasse per sfuggire all’accusa di aver ricevuto finanziamenti illegali durante la campagna elettorale).

Una Commissione di sicuro poco gradita al governo di Juan Orlando Hernández, il cui livello di coinvolgimento con il crimine organizzato è «decisamente alto»: «diversi ministri e consiglieri del suo governo – spiega – sono stati indagati dalla Dea, l’agenzia federale anti-droga degli Stati Uniti, per narcotraffico, compreso il suo stesso fratello Juan Antonio Hernández, attualmente in carcere negli Usa per traffico internazionale di stupefacenti».

COSÌ, MALGRADO LA POSSENTE mobilitazione degli “indignati”, conosciuta come Marcha de las antorchas, il progetto della Cicih non viene approvato, anche a causa di ciò che Erlin individua come uno dei principali ostacoli sulla via di un vero processo di trasformazione del paese: «L’opposizione è divisa e molti dirigenti si lasciano intimidire, cedendo alle minacce o alle lusinghe, mentre quelli che lottano veramente vengono uccisi, sono fatti sparire, finiscono in carcere o in esilio».

Ciononostante, Erlin è in prima linea anche nella lotta contro l’illegale ricandidatura di Juan Orlando Hernández, autorizzata dai giudici della Corte Suprema da lui stesso nominati in violazione della Carta costituzionale.

Ed è probabilmente per ritorsione contro la sua attività politica che, nell’ottobre del 2016, sua sorella Ana, sordomuta e all’epoca appena quindicenne, viene sequestrata e abusata per due giorni. Dietro il suo sequestro, denuncia Erlin, si nasconde un’associazione all’apparenza impegnata al fianco delle persone non udenti, l’Asociación de sordos de Honduras, come egli scopre iniziando a indagare per conto suo. «La rete di trafficanti, vincolata al narcotraffico, è attiva in Messico, Centroamerica, Venezuela, Colombia, Perù, Cile, Bolivia, Spagna e Marocco. E in Honduras conta sul sostegno di settori politici e militari, della polizia e del controllo migratorio».

ERLIN DENUNCIA TUTTO alle autorità del suo paese, che tuttavia gli negano qualsiasi protezione, ma si rivolge anche alla Commissione interamericana per i diritti umani, all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, all’Unione Europea. «Credo che sia stato proprio il fatto di aver presentato il mio caso a livello internazionale a salvare la mia vita e quella della mia famiglia».

Per sfuggire agli attacchi delle autorità governative e delle forze parastatali, nel settembre del 2017, in un viaggio realizzato con il patrocinio della Oxfam, Erlin si rifugia in Svezia con i suoi familiari, sicuro di poter voltare pagina e iniziare una nuova vita.

Comincia invece un lungo calvario, culminato nella definitiva bocciatura da parte dei servizi di migrazione, il 18 giugno del 2020, della sua richiesta di asilo, malgrado tutte le prove documentali presentate.

Così, Erlin sarebbe stato espulso insieme ai sei membri della sua famiglia il prossimo 24 dicembre, proprio alla vigilia di Natale, se il caso non fosse stato portato alla Corte di Strasburgo, di cui si attende nei prossimi giorni la decisione definitiva.

«CONTINUO A SPERARE, malgrado tutto», conclude Erlin. E anche se la politica migratoria svedese calpesta i suoi diritti, al punto che nell’ultimo contatto telefonico le autorità migratorie gli hanno detto «esplicitamente» di non essere interessate alla condizione di disabilità sua e di sua sorella, la Svezia continua ad apparirgli «un paese bellissimo, con un’alta qualità della vita e un ottimo sistema educativo e sanitario».

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