Trasformare i sistemi alimentari per eliminare la fame e per contribuire alle soluzioni sul fronte del clima: questo si propone la Global Roadmap for Achieving Sustainable Development Goal 2 without Breaching the 1.5°C Threshold presentata dalla Fao alla Cop28 a Dubai.
Nel 2022, 738,9 milioni di persone erano affamate, 2,4 miliardi prive di sicurezza alimentare, 3,1 miliardi non avevano una dieta sana. La produzione di cibo, poi, totalizza un terzo delle emissioni climalteranti e al tempo stesso è altamente vulnerabile rispetto al loro impatto. Il piano d’azione prevede dunque un percorso su tre anni, fino alla Cop30, articolato in 120 proposte di «soluzioni pratiche» per dieci ambiti: allevamento, pesca e acquacoltura, colture vegetali, nutrizione, foreste e zone umide, suolo e acqua, spreco alimentare, energie pulite, inclusione e dati.

La denutrizione cronica deve finire entro il 2030 ed entro il 2050 vanno garantite diete sane per i (previsti) dieci miliardi di abitanti umani del pianeta. Ed ecco l’ambizione climatica: arrivare alla neutralità carbonica entro il 2035 e trasformare il settore agroalimentare in un pozzo naturale di carbonio entro il 2050. Si spazia da interventi «agroecologici» ad altri all’insegna dell’efficienza tecnologica, compatibile con un settore agroalimentare globalizzato.

Alle salvifiche foreste e zone umide sono dedicate molte proposte di protezione e valorizzazione; quanto alle colture, vanno rese più resilienti e basso-emissive. Energia pulita: entro il 2030 l’uso tradizionale, antiecologico e insalubre della legna da ardere, diffusissimo nel Sud globale, sarà eliminato e sostituito da bioenergie più efficienti. Ma d’altro canto si mostra molta fiducia nelle biomasse con cattura e stoccaggio del carbonio (Beccs) e nella produzione di colture energetiche da taglio – pur precisando che andranno riservate ad aree marginali. Pesca e acquacoltura: zero messa in discussione del trend di crescita accelerata del settore, e invece focus sulle tecniche per la sostenibilità, compresi carburanti e mangimi a basse emissioni.

Allevamenti, una questione pesante anche per il clima: la road map punta sugli aumenti di produttività tramite la genetica, l’intensificazione ben gestita, nuove fonti mangimistiche, il miglioramento dei pascoli, lo spostamento verso specie non ruminanti e innovazioni tecnologiche.

Commenta Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia: «Mentre si fissano obiettivi specifici di riduzione delle emissioni per l’agricoltura (comprese quelle di metano) e si individua un passaggio a diete con meno carne e latticini nelle regioni ad alto consumo entro il 2050, gli strumenti offerti sono problematici. La tabella di marcia tende fortemente verso soluzioni tecnologiche e guadagni di efficienza nell’allevamento nei paesi in via di sviluppo, senza affrontare la necessità di ridurre la produzione di massa, ovvero il numero di animali costretti negli allevamenti intensivi, e di avviare una transizione verso l’agroecologia. La Fao non può permettere che i prossimi risultati siano dominati dall’agrobusiness: le grandi aziende della carne e dei latticini continuano a essere alcuni dei più potenti motori delle emissioni del sistema alimentare. E poi occorre portare avanti gli obiettivi globali sulla biodiversità».

Un percorso necessario, «ma poca enfasi sull’agroecologia», per Molly Anderson, del panel internazionale di esperti nei sistemi alimentari (Ipes-Food); e poi «la road map non esplicita la necessità di ridurre il numero di animali allevati in modo industriale, con tutti gli input provenienti dall’agrobusiness».

Sarah Ison di Compassion in World Farming chiede un approccio più olistico per «il clima, gli animali, le persone, il pianeta», perché il piano, pur necessario, «suggerisce pratiche che potrebbero minacciare il benessere delle centinaia di miliardi di animali nel mondo allevati per il cibo, come l’intensificazione della produzione zootecnica in determinate aree. Anche il passaggio dai grandi ruminanti, come i bovini, ad altri animali come polli, maiali, pecore, non affronta le implicazioni più ampie dell’agricoltura industriale, quale l’impatto della produzione di mangimi sul clima e sull’ambiente».