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Stop-airgun, che cerca petrolio e uccide l’ecosistema

Stop-airgun, che cerca petrolio e uccide l’ecosistema

Stop alla deriva petrolifera in Adriatico e all’utilizzo dell’airgun. Sì a politiche comuni di qualità ambientale e gestione economica sostenibile, perché il mar Adriatico merita un futuro diverso. È chiaro […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 16 marzo 2018

Stop alla deriva petrolifera in Adriatico e all’utilizzo dell’airgun. Sì a politiche comuni di qualità ambientale e gestione economica sostenibile, perché il mar Adriatico merita un futuro diverso.

È chiaro e preciso il tema che ieri è stato al centro dell’incontro organizzato da Legambiente Puglia a Bari e che ha visto la partecipazione di associazioni e comitati, che fino ad oggi hanno portato avanti la battaglia contro la petrolizzazione del mar Adriatico, del governatore Michele Emiliano e dei neoparlamentari eletti sul territorio pugliese.

Obiettivo: fare sinergia rispetto alle decine di richieste delle compagnie petrolifere che riguardano migliaia di kmq di mare e che rischiano di riempire di piattaforme anche il basso Adriatico, come già accaduto per il tratto di mare di fronte l’Emilia Romagna, le Marche e l’Abruzzo.

In Italia sono 136 le piattaforme offshore. Il tratto di costa maggiormente interessato è proprio quello che va dall’alto Adriatico fino alle coste dell’Emilia Romagna con 75 piattaforme, seguito dal medio Adriatico con 46, 9 nel canale di Sicilia e 6 nello Ionio.

Con un contributo totale al fabbisogno energetico del Paese di pochi punti percentuali per il gas e solo dell’1% circa per il petrolio. Ha senso tutto questo? Per le compagnie petrolifere sembra proprio di sì, come dimostrano i dati relativi al mare pugliese in termini di istanze di prospezione e ricerca per nuovi giacimenti.

Le due istanze di prospezione oggetto della recente sentenza del Consiglio di Stato, che di fatto respinge il ricorso presentato dalla Regione Puglia e dalla Regione Abruzzo confermando il parere positivo della Commissione Via, riguardano ben 30mila chilometri quadrati di mare e sono solo la punta dell’iceberg del problema. Sulle coste ioniche pugliesi c’è una terza istanza di prospezione per ulteriori 4mila kmq nel Golfo di Taranto. A questi si aggiungono 16 istanze di nuovi permessi di ricerca, per un totale di 9.500 kmq e due permessi di ricerca già rilasciati.

Nell’ambito di queste richieste, nel solo mese di settembre 2017, il Ministero dell’ambiente ha rilasciato ben 6 pareri favorevoli per effettuare indagini di ricerca sismica attraverso l’utilizzo dell’airgun. La tecnica utilizzata per le prospezioni e la ricerca di nuovi giacimenti sui fondali marini è una delle questioni principali e si continuano a sottovalutare gli enormi impatti negativi che l’utilizzo di questa tecnica ha sulla fauna e in generale sull’intero ecosistema marino, come dimostrano numerosi studi internazionali e nazionali.

Da questo nasce la prima proposta al centro dell’incontro di Bari rivolta in particolare ai neoparlamentari eletti, di farsi promotori di una iniziativa parlamentare per vietare l’utilizzo dell’airgun ai fini delle prospezioni e delle ricerche di idrocarburi in mare, partendo dal lavoro già avviato nella precedente legislatura. La seconda è rivolta al Governo e al ministero dell’Ambiente e riguarda la redazione di un Programma nazionale per lo sviluppo di attività di ricerca e idrocarburi su cui avviare una

Valutazione ambientale strategica, anche transfrontaliera. Il nostro Esecutivo, infatti, ha fatto richiesta e ottenuto, l’avvio di una procedura di Vas transfrontaliera in merito al programma di prospezione e ricerca di idrocarburi del Governo Croato, fermato poi da una moratoria voluta dagli stessi croati dopo averne valutato l’inutilità e le conseguenze ambientali.

Lo stesso iter è stato avviato anche dal Montenegro (interessato oggi da alcune richieste d parte di Eni) e dalla Grecia. In Italia invece non è stato fatto niente di tutto questo, violando inoltre gli impegni assunti con il recepimento della Direttiva comunitaria offshore, e si continuano ad inseguire le singole richieste delle compagnie petrolifere. Infine ribadiamo una proposta condivisa e promossa già in sede europea dalla rete One Adriatic (che comprende associazioni e ong di tutti i Paesi costieri), ovvero quella di avviare una Politica unitaria di sviluppo e tutela de mar Adriatico a livello internazionale, coordinata a livello europeo.

L’obiettivo finale è quello di pretendere dai Governi dei paesi che si affacciano sul mar Adriatico di fermare l’estrazione di idrocarburi per scegliere un diverso sviluppo economico, sociale e ambientale e promuovere un’economia fossil-free per un futuro pulito, efficiente e rinnovabile.

* responsabile scientifico di Legambiente

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