Martedì scorso le rettrici di Harvard, Mit e Università di Pennsylvania sono state ascoltate dalla commissione parlamentare sull’istruzione. L’audizione è degenerata in una interrogazione accusatoria in cui i parlamentari repubblicani hanno attaccato le amministratrici come fiancheggiatrici dell’antisemitismo sui propri atenei. La deputata Elise Sefanik, in particolare, ha assalito Claudine Gay, direttrice di Harvard, chiedendole conto del «tacito sostegno» all’odio antisemita. «Lei condonerebbe un appello per lo sterminio di tutti gli afroamericani?» ha esordito la ferrea trumpista, imbastendo il suo strumentale sillogismo. Al tentativo di contestualizzare la domanda, Stefanik ha tolto la parola all’interpellata ed è arrivata al dunque, spiegando che non aver proibito manifestazioni studentesche in cui erano stati proferiti slogan «a favore dell’Intifada» equivaleva all’adesione di Harvard «alla distruzione di Israele e del genocidio degli ebrei».

L’imboscata di stampo maccartista a favore di telecamere è stata indicativa dell’atmosfera di intimidazione volta ad inibire ogni dissenso contro la guerra di sterminio a Gaza, appiattendo antisionismo e antisemitismo in una spuria equivalenza dialettica. Una campagna volta a ricondurre i termini del discorso all’interno della stessa logica binaria che negli Stati uniti prevalse dopo l’11 settembre portando a due guerre ventennali e la morte di centinaia di migliaia di persone.

LA MILITARIZZAZIONE del discorso è promossa particolarmente dalla destra, nella Florida trumpista, ad esempio, dove il governatore DeSantis ha espulso l’associazione di studenti palestinesi dalle università statali. L’attacco all’opinione costituisce un secondo fronte della guerra ed è parte di un’operazione evidente sul account governativo “Israel”, preposto a confutare su X le notizie provenienti da Gaza ed attaccare ogni critica della linea Netanyahu, il canale ha subito ripreso estratti dell’udienza in Congresso e ribadito le accuse ai rettori.
Stesso obbiettivo hanno avuto le proiezioni di video delle atrocità del 7 ottobre, introdotte da ufficiali delle Idf, tenutesi a Los Angeles per un selezionato pubblico pro-Israele. Aipac, la principale lobby pro israeliana di Washington, ha intanto dichiarato che lavorerà con le proprie consistenti risorse per impedire la rielezione di Alexandria Ocasio Cortez e altri esponenti progressisti, colpevoli di aver criticato il massacro a Gaza. Altrove si è giunti al doxxaggio esplicito, come quello condotto a più riprese sul campus della Columbia, proiettando su di un maxischermo nomi e cognomi di studenti pro palestinesi (e dunque, per spuria definizione, antisemiti).

NEL BINARISMO ipocrita rischiano di travisarsi gli sconfinamenti in effettivo antisemitismo, come si è visto questa settimana a Philadelphia, ad esempio, dove una manifestazione ha preso di mira un ristorante di falafel restituendo l’immagine sinistra di una folla che tacciava un esercizio commerciale ebreo del genocidio perpetrato da Netanyahu. Quell’episodio è stato ampiamente criticato ma è da notare come anche esponenti ebrei, come il presidente del Senato Chuck Schumer e il parlamentare Jerry Nadler (entrambi di New York) abbiano tenuto a sottolineare le differenze fra antisemitismo e la critica al sionismo. «In una società democratica tutti hanno il diritto di dissentire – compreso sulla guerra a Gaza», ha dichiarato Bernie Sanders. «Ma non possiamo trasformare quella critica nella colpevolizzazione di un intero popolo, che sia musulmano, ebreo o qualsiasi altra cosa».
Nell’atmosfera pesante promossa ad arte da fanatici ed estremisti, le voci ebraiche sono insomma fra le più incisive, specialmente quelle dei giovani militanti di formazioni come If Not Now e Jewish Voices for Peace, fautori di azioni per la pace alla Casa Bianca, a Grand Central Station, la statua della libertà e Hollywood boulevard. L’intersezionalità del dissenso necessario è stata ribadita questa settimana in un meet-up di Jvp. Si è tenuto, incredibile a dirsi, nella moschea al fianco del centro islamico di Los Angeles.