Stati generali unisex, tra messaggio di Bergoglio e virulenza di Meloni
Commenti Bisogna smettere di far credere che esista un cittadino neutro, che è invece disegnato sull’identità del maschio, dentro la cui gabbia è stata costretta la donna
Commenti Bisogna smettere di far credere che esista un cittadino neutro, che è invece disegnato sull’identità del maschio, dentro la cui gabbia è stata costretta la donna
Da questi Stati Generali sulla famiglia tenuti qualche giorno fa a Roma la sola cosa buona, come sempre, è il monito di Papa Francesco: il problema della natalità – ha detto – è strettamente collegato a quello dell’accoglienza. Per quelli di noi che eravamo a Trieste per l’affollatissimo 9° festival di Sabir (l’incontro annuale delle Ong delle sponde mediterranee, promosso dall’Arci, Pax Christi e da una grande quantità di altre organizzazioni) il messaggio del Pontefice ci è apparso come un incoraggiamento a proseguire nella nostra lotta per impedire gli orrendi rigetti degli immigrati.
A differenza di quanto hanno detto tutti gli altri a questi Stati Generali, con poche parole, questo illuminato Papa Bergoglio che abbiamo la fortuna di avere, ha chiarito che solo i razzisti possono pensare che servono solo bambine/i bianche/i, di pura razza italiana. E che dunque, per evitare “inquinamenti , sia opera sacrosanta far morire affogati o di stenti lungo le rotte balcaniche migliaia di bambini che basterebbero da soli a far impennare il tasso di natalità, non solo dell’Italia ma del mondo.
Al di là del calo del tasso di natalità come problema generale esiste però un altro problema: cosa si deve fare per impedire che il desiderio di avere figli (e magari anche più di uno) che anima molte donne (non tutte, evidentemente) possa essere appagato, visto che oggi non lo è affatto? Su questo punto gli Stati Generali mi sono apparsi francamente indecenti. Non solo per via del tono violento con cui Meloni ha minacciato i diritti di chi intende scegliere come crede su genitorialità e famiglia, ma per come tutti hanno trattato le donne: ignorate come soggetti pur piuttosto importanti della procreazione!
Leggete i resoconti dell’evento, e vedrete che quasi nessuno le ha nominate direttamente, nascondendole dentro la definizione di “famiglia”, o la categoria “giovani”, come se far figli, e poi tirarli su, fosse fatica uguale per maschi e per femmine. E per questo è stato lecito elencare ogni possibile misura di aiuto che non le riguardasse specificamente ma solo indirettamente: i soliti “bonus” alla famiglia, facilitazioni fiscali, tutt’al più prese in considerazione come disoccupate che hanno bisogno di trovare lavoro. Di cui certo le donne hanno bisogno, ma hanno anche e soprattutto diritto di denunciare che se non nascono abbastanza bambini non è grave per l’umanità che ne ha anche più del necessario, ma è perché il diritto al lavoro della donna se non è accompagnato da una seria trasformazione della società e dei suoi regolamenti, tale da socializzare davvero il lavoro di cura, rischia di sgretolarsi. Perché se questa trasformazione non c’è, per la donna-madre lavorare è una fatica spesso insostenibile, anzi, in molti casi tale da costringerle a rinunciare, così frustrando il desiderio di tante di loro di avere bambini.
Le cifre, che in questi Stati non generali ma Unisex sono state ignorate, parlano chiaro: le donne hanno dimostrato di essere capaci di fare quello che fanno gli uomini (che finalmente dovrebbero averlo capito) e infatti sono ormai la maggioranza nella magistratura, nel settore della salute, tante anche fra i manager. Ma se poi andate a vedere i dati scoprite che, mentre i maschi magistrati, medici, manager hanno quasi tutti procreato, le donne ad averlo potuto (o voluto) fare sono una assoluta minoranza. Vale a dire che per raggiungere la “quota rosa” ottimale di cui sempre si parla ma che da sola serve a poco, hanno dovuto rinunciare a un loro diritto, che per molte è anche una gioia: fare bambini.
Avevo bisogno di questo sfogo perché questi Stati Unisex mi hanno fatto andare particolarmente fuori dai gangheri. E però penso che alla battaglia per la socializzazione del lavoro di cura sia in generale data troppa poca attenzione. Tutt’al più si parla di asili nido, che certo sono una richiesta fondamentale, ma insufficiente perché non solo sono pochi, sono anche inadeguati, i loro orari non coincidendo con quelli del lavoro delle madri, che del resto avrebbero bisogno di un generale ripensamento dei quartieri e degli immobili, capaci di prevedere servizi collettivi per quando i bambini si ammalano, o i vecchi, così come per tutte le altre funzioni.
Dire: ma padri e mariti devono fare la loro parte è ridicolo. Certo, potrebbero lavare i piatti e ottenere la licenza genitoriale, ma non basta: quel che serve è ripensare tutto il nostro modo di vivere. E di pensare. Vale a dire smettere di far credere che esista un cittadino neutro, che è invece disegnato tutto sull’identità del maschio (dentro la cui gabbia è stata costretta la donna). E capire che le quote rosa hanno un valore simbolico perché servono a provare che anche noi donne siamo intelligenti, ma rischiano di diventare mistificanti se non vengono accompagnate con sufficiente forza dalla richiesta che leggi, regole, struttura sociale ed economica tenendo conto della differenza. Una differenza di genere che fra le altre cose impone a chi i figli desidera averli di dover rinunciare al lavoro. Perché carica noi donne di un grande lavoro che tutti ritengono possa continuare ad esser fatto gratis. Con i tempi che corrono, e la violenza di Giorgia, non vorrei che si arrivasse a decretare che le donne devono andare tutte a casa a fare figli. E basta.
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