Roberto Speranza, ministro della Salute, segretario di Articolo 1 e candidato nella lista Italia democratica e progressista insieme al Pd. Partiamo dal Covid. In giro non si vedono quasi più mascherine, siamo fuori dall’incubo?

Siamo in una fase molto diversa rispetto al passato. Abbiamo conoscenze, esperienze e strumenti che ci consentono di affrontare il virus con più fiducia. Certo, la stagione autunnale che sta iniziando è tradizionalmente quella più insidiosa. Per questo continuo a chiedere con forza di usare prudenza e, soprattutto, di proteggere i più fragili con la dose di richiamo aggiornata, raccomandata per tutti gli over 60.

Lei è ministro da tre anni esatti, ha attraversato la crisi sanitaria peggiore dal Dopoguerra. Di cosa è fiero e cosa invece farebbe diversamente?

Rivendico quello che abbiamo fatto, mi sono sempre fatto guidare da due assi fondamentali: il primato del diritto alla salute e la centralità dell’evidenza scientifica.

Meloni dal palco di Roma ha gridato «Mai più modello Speranza se tornasse la pandemia» e ha paragonato le vostre scelte a quelle della Cina.

Parla di Cina ma continua a non rispondere su cosa succede alla campagna di vaccinazione dopo il 26. È una irresponsabile che continua solo a fare l’occhiolino ai no vax.

Stiamo per andare alle urne mentre è in corso una minaccia nucleare, la peggiore degli ultimi decenni. La guerra in Ucraina rischia di allargarsi.

L’Italia, insieme a Francia e Germania, deve riprendere l’iniziativa diplomatica che era già stata avviata con l’obiettivo di una immediata de-escalation. Il sostegno europeo all’Ucraina non è in discussione, ma questo deve avere l’obiettivo di fermare il conflitto.

Il governo si prepara a un nuovo invio di armi. È d’accordo?

Abbiamo sostenuto l’Ucraina per evitare il successo dell’aggressione di Putin. Per noi questo sostegno significa creare le condizioni perché la diplomazia porti alla via della pace.
Finora la diplomazia ha fallito. Russia e Usa si rivolgono minacce nucleari. Compito dell’Europa è assumere una forte iniziativa diplomatica. Mai come oggi il ruolo dell’Ue può essere decisivo per arrivare ad una tregua.

Quanto peserà la guerra sul voto italiano?

Siamo già davanti a pesanti conseguenze sull’inflazione e sul costo delle bollette per famiglie e imprese. Una situazione drammatica perché si inserisce dentro una crisi sociale. Ritengo molto opportuna l’iniziativa del segretario Pd Letta che ha incontrato il cancelliere tedesco Scholz per chiedere che la Germania faccia sponda con l’Italia per un tetto europeo al prezzo del gas in vista del consiglio Ue del 30 settembre. Solo quel tetto può dare risposte vere al dramma delle famiglie italiane, Letta ha fatto una mossa concreta, altri se la cavano con la demagogia.

Come Articolo 1 avete deciso di correre in una lista insieme al Pd, da cui eravate usciti nel 2017. Ritiene che il Pd sia cambiato da allora?

Il Pd sta cambiando, Letta ha detto parole chiare su lavoro, lotta alla precarietà. È consapevole che siamo in un tempo nuovo e le forze di sinistra devono cambiare parole d’ordine per interpretare la questione sociale. La lista è aperta anche ad altre forze come socialisti e Demos. È una promessa di proseguire dopo il voto il percorso di apertura a nuove energie. Siamo già oltre il confine stretto del Pd, la lista è un seme per la costruzione di una sinistra larga a partire dalla questione sociale, dalla difesa di scuola e sanità pubbliche.

Il Pd è anche il partito del Jobs Act. Ritiene che questa svolta sia credibile?

Oggi il Pd ha una linea politica molto diversa rispetto a 5 anni fa. C’è stata una presa di coscienza, si è chiusa la fase dell’egemonia neoliberista. Nel 2018 l’agenda era il Jobs Act e la flessibilità del lavoro, oggi quel modello è stato archiviato. C’è ancora tanto da fare ma la strada intrapresa è quella giusta.

Il M5S è in forte competizione con voi per il voto popolare, soprattutto al sud.

Sarei molto prudente nel dire che Beppe Grillo rappresenta la sinistra. In questi ultimi giorni il M5S sta cercando di recuperare una verginità dopo che per quattro anni e mezzo è stato il principale partito di governo. È in corso da parte loro un tentativo di rimuovere questa esperienza, di presentarsi ancora come quelli fuori dal palazzo, ma i loro ministri siedono ancora al governo insieme a me.

Sembra funzionare. La divisione alle elezioni non è stata compresa da molti elettori.

Io ho lavorato sempre per rompere il muro di incomunicabilità tra centrosinistra e M5S. Non me ne pento. Però è chiaro che loro hanno fatto la scelta di sfiduciare il governo all’ultima curva per recuperare qualche voto. È chiaro che in quel passaggio non hanno messo al centro gli interessi del Paese, e delle fasce più deboli. L’interesse dell’Italia non era una corsa alle urne con una legge che favorisce il centrodestra. Per qualche voto in più rischiano di consegnare il governo a Salvini e Meloni.

Veramente è stato Letta a rompere l’alleanza.

La rottura è avvenuta quando hanno deciso di non votare la fiducia a Draghi e al governo in cui continuano a sedere i loro ministri. Sapevano perfettamente che quella scelta avrebbe avuto come conseguenza uno strappo dell’alleanza. E hanno fornito un assist alla Lega e a Berlusconi per precipitare il paese al voto. Letta ha fatto il possibile per evitarlo, e anche io ho ci ho provato fino in fondo. Ma credo che Grillo avesse già deciso.

E ora nei collegi la sfida contro le destre è durissima.

Per noi l’obiettivo è vincere, e questo è possibile convincendo chi non vuole andare a votare, pancia a terra, casa per casa. Il nostro vero avversario è l’astensione: soprattutto nei ceti più deboli che vogliamo rappresentare ci sono persone sfiduciate, rassegnate, che pensano che il voto sia ininfluente sul loro destino personale, che nulla possa cambiare. Il nostro compito è rispondere con forza a questa domanda di protezione

Perché dovrebbero fidarsi?

Perché siamo quelli della scuola e della sanità pubblica, in tre anni abbiamo alzato di 10 miliardi la spesa per la sanità, vogliamo che questo servizio resti universale, a prescindere dalle condizioni economiche di ciascuno. Siamo quelli che difendono i beni pubblici, che vogliono alzare gli stipendi agli insegnanti perché crediamo nel ruolo fondamentale della scuola. Al sud uno dei più gravi problemi è la dispersione scolastica, che spinge tanti ragazzi nelle mani della criminalità. E poi salario minimo, difesa dell’ambiente che è un tema legato alla salute: lo abbiano visto questa estate, con le ondate di calore che hanno messo in difficoltà tanti anziani. Il cambiamento climatico è già qui, lo vediamo dalla Marmolada alle Marche.

Crede che una vittoria delle destre possa mettere a rischio il diritto all’aborto?

Il modello della destra italiana è Trump, che ha nominato i giudici della suprema corte che hanno abolito il diritto all’aborto negli Usa. Il messaggio subliminale di Meloni è che anche in Italia si andrà in quella direzione. Cosa significa parlare del «diritto a non abortire»? È un modo ambiguo per dire che vogliono rendere più complicato l’esercizio del diritto all’interruzione di gravidanza, senza avere il coraggio di dirlo chiaramente. Questa è una destra che ha paura dei diritti, lo abbiamo visto in Parlamento sullo ius scholae, il ddl Zan. Una destra che può portarci indietro.

Ci aiuti a fare chiarezza: oggi l’agenda del centrosinistra è quella di Draghi?

La nostra è un’agenda sociale, quella che stiamo presentando nel Paese parte da lavoro e salari. Però mi lasci dire mi fanno sorridere quei partiti che hanno affossato Draghi due mesi fa e ora gli chiedono che faccia miracoli contro il caro-bollette.