Specie meravigliose
Intervista Incontro con Stefano Mazzotti, direttore del museo di storia naturale di Ferrara e autore di un libro sulle nuove forme di vita
Intervista Incontro con Stefano Mazzotti, direttore del museo di storia naturale di Ferrara e autore di un libro sulle nuove forme di vita
La scoperta di nuove specie sul nostro pianeta potrebbe apparire come un evento di carattere storico, come quando i velieri solcavano gli oceani alla scoperta del mondo e giovani scienziati esploravano nuovi continenti per raccogliere piante e animali ancora sconosciuti. Da quei viaggi avventurosi gli esploratori tornavano con ricchissime raccolte naturalistiche, veri tesori di biodiversità che accrescevano i patrimoni scientifici dei musei di storia naturale. Specie mai viste prima, che stimolavano domande e costruivano i fondamenti teorici delle nuove scienze della vita. Questa storia di esplorazioni scientifiche è tutt’altro che esaurita».
Così si apre il libro Meravigliose creature. La diversità della vita come non la conosciamo (Il Mulino, euro 18) scritto da Stefano Mazzotti, zoologo, direttore del Museo civico di storia naturale di Ferrara che annovera diverse esplorazioni zoologiche in Sud America, nelle foreste tropicali montane delle Ande, alla ricerca di nuove specie. «In molti sono portati a pensare che conosciamo tutto del nostro pianeta, tant’è vero che ci sforziamo, anche a livello di investimenti economici, a cercare nuove forme di vita in altri pianeti. Ma la realtà, supportata da lavori scientifici recenti e autorevoli, è che conosciamo poche specie di animali e piante», afferma Mazzotti. «Tanto è vero che un lavoro statistico piuttosto importante che è stato fatto elaborando tutte le informazioni che abbiamo sui tassi di scoperta dei vari gruppi di animali e di piante ha stimato che il 91% delle specie dei mari e degli oceani e l’86% delle terre dei continenti emersi non le conosciamo affatto».
Mazzotti, mi tolga una curiosità. Se conosciamo solo il 9% delle specie acquatiche e poco più di quelle terrestri, come possiamo dare queste percentuali se non sappiamo quante sono in totale?
Si è giunti a questi numeri analizzando a livello statistico, con degli algoritmi, le variabili di cui parlavo prima: per esempio il tasso di scoperte per ciascun gruppo di animali e di piante e il numero di biologi che descrivono le varie specie scoperte e poi pubblicano i risultati delle scoperte in riviste scientifiche. Questi studi ci dicono che la stima più o meno prevedibile di quante specie ci potrebbero essere sul pianeta si aggira sui dieci milioni, ma noi ne conosciamo molto meno. La scienza ufficiale ne conosce poco più di due milioni.
Succede spesso di scoprire una nuova specie?
Certamente. Mediamente in questi ultimi venti anni sono state descritte annualmente dalle 15 alle 20 mila specie diverse tra piante, animali, piccoli organismi, funghi, alghe e così via.
Anche di grossa taglia?
Sì. È facile intuire che le specie meno studiate sono quelle di piccolissima taglia, ma in realtà è sorprendente che – nonostante si sappia di più di quelle di maggiori dimensioni – spesso vengano descritte nuove specie di mammiferi, pesci, uccelli, anfibi e rettili. Intendo anche scimmie, antilopi, roditori.
Un esempio?
In Birmania recentemente è stata osservata una grossa scimmia, un rinopiteco, che vive ad una altitudine fino a tremila metri. Un esempio eclatante sono, poi, le specie marine che vivono nelle profondità dei mari e degli oceani. Sono ambienti che conosciamo pochissimo. L’80 per cento dei fondali degli oceani non li conosciamo. Provi a pensare se non conoscessimo l’80 per cento dei continenti, si tornerebbe indietro, credo, di 2000 anni. Quindi, ogni volta che si organizza una spedizione utilizzando un robot – che è necessario visto che lavora a nove mila metri di profondità – dove si pensava non ci fosse vita, in realtà si scoprono diverse specie di invertebrati ma anche di pesci. Di recente, per esempio, sono stati scoperti pesci a circa ottomila metri di profondità. È il caso del pesce lumaca che è una specie molto particolare perché non ha ossa calcificate; è come se fosse di gomma e questo per sopportare la pressione enorme di quelle profondità.
Lei è un esploratore. Le è capitato di scoprire una nuova specie?
In Sudamerica, nelle foreste tropicali andine, ho scoperto una nuova specie di rana. Durante una missione esplorativa nelle foreste del Parco nazionale di Yanachaga- Chemillén, nelle Ande del Perù, a circa 2.500 metri di altitudine, con alcuni colleghi, abbiamo rilevato una nuova specie di anfibio anuro, una piccola rana arboricola di appena due centimetri di lunghezza appartenente al ricchissimo genere Pristimantis che conta centinaia di specie. L’abbiamo chiamata Pristimantis leucorrhinus. Il nome si riferisce alla caratteristica macchia squadrata bianca sulla regione nasale che è una caratteristica peculiare e distintiva di questa rana.
Girando il mondo si sarà fatta un’idea dove la biodiversità è più a rischio.
Se ci si limita alle piante, ci sono vari luoghi nel mondo che sono praticamente gli hotspot della biodiversità. Per esempio le foreste costiere mediterranee sono oggi molto a rischio. La biodiversità è a rischio in tutti i luoghi dove c’è una forte presenza dell’uomo e delle sue attività, come l’agricoltura intensiva, che oramai sta coprendo la metà della superficie del pianeta, e il disboscamento. La biodiversità poi non ha una distribuzione uniforme sul pianeta. In generale abbiamo una maggiore concentrazione di biodiversità nella fascia tropicale nelle terre emerse, ma anche negli oceani dove ci sono per esempio le barriere coralline. Oggi è gravemente a rischio un po’ in tutto il pianeta. Tanto è vero che oramai i biologi e gli studiosi dell’ambiente sono concordi che si stia verificando una estinzione di massa provocata dall’uomo.
Mentre la perdita di biodiversità vegetale e animale delle terre emerse è più facilmente sotto gli occhi di tutti, quella dei mari e degli oceani meno. Qui come stiamo?
Male! Stiamo facendo una forte pressione sull’ecosistema marino con la pesca industrializzata che impiega pescherecci che ormai sono delle navi-industria. Di fatto si sta depauperando in modo molto veloce la diversità delle varie specie. I grandi pesci si stanno riducendo in modo drastico. Per esempio ci sono grandi problemi per gli squali, ma anche per il tonno rosso che adesso è una delle specie più gravemente a rischio estinzione.
Se non agiamo per salvare la biodiversità cosa succederà al nostro pianeta?
Questa è una domanda cruciale. Dobbiamo renderci conto che stiamo cambiando il pianeta con questa aggressione alla natura. Si parla spesso dei cambiamenti climatici, ed effettivamente è un grande problema che incide peraltro anche sulla scomparsa di specie di popolazioni di piante e di animali, ma in realtà si parla molto poco della perdita e soprattutto dell’importanza che ha la biodiversità. Non voglio essere catastrofista perché si possono fare ancora tante cose per salvarla. In Europa sono stati realizzati tanti progetti importantissimi che hanno risollevato decisamente le sorti di diverse popolazioni di specie di mammiferi come la lince, il lupo, la lontra, il castoro. Ma bisogna educare ancor di più i cittadini affinché comprendano che è assolutamente necessario salvaguardare i grandi territori dov’è concentrata la biodiversità.
Ci guadagna anche il nostro benessere…
Avere un paesaggio integro e poter ammirare la bellezza della natura è importantissimo per l’umanità e il benessere di ciascuno di noi. Altrimenti basterebbe vivere chiusi in una bolla di cristallo per tutta la nostra vita e allora tanto varrebbe andare a vivere su Marte. Edward Wilson, biologo statunitense, diceva che distruggere una foresta tropicale è come bruciare un dipinto del Rinascimento per cucinare. E noi di fatto stiamo facendo proprio questo.
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