L’approdo oggi in Consiglio dei ministri (dalle 16 in poi) del disegno di legge quadro sulla secessione dei ricchi, detta «autonomia differenziata», è un salto di qualità nel dibattito pubblico che si è svolto in maniera interessante sui giornali e sulle riviste, ha riscaldato la politica negli ultimi giorni e aspetta di entrare in circolo nella società. In questo senso si è mossa, in maniera tempestiva, l’iniziativa di raccolta delle firme a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare che intende riscrivere e rivisitare gli articoli 116.3 e 117 della Costituzione per prevenire danni ulteriori creati dal devastante progetto della maggioranza leghista e post-fascista.

L’INIZIATIVA sostenuta anche da Il Manifesto, ora sul sito www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it, ieri è stata rilanciata dalla Flc Cgil, e della Cgil, che hanno annunciato una mobilitazione sociale che coinvolgerà tutte le 50 realtà del tavolo «No autonomia» che si è incontrato domenica scorsa al liceo Tasso di Roma. «L’autonomia differenziata è un’idea folle che va fermata perché va contro gli interessi del nostro paese e non fa altro che aumentare le divisioni. Si modifica la Costituzione in una logica autoritaria» ha ribadito ieri il segretario della Cgil Maurizio Landini.

NONOSTANTE un clima politico compromesso da subalternità, frammentazione e identitarismo potrebbe anche farsi strada la consapevolezza del progetto orchestrato dal ministro leghista per gli Affari regionali Roberto Calderoli, quello che oggi sarà varato in via «preliminare» dal Consiglio dei ministri. Come più volte sollecitato dall’economista Gianfranco Viesti, con Massimo Villone uno dei promotori della suddetta proposta di legge, il regionalismo differenziato andrebbe considerato come una questione politica di rilevanza nazionale, cruciale per la vita materiale dei cittadini e per il governo della ricchezza.

SE CONSIDERATO insieme al presidenzialismo, di cui non ci sono ancora bozze scritte, il testo in 10 articoli del Ddl Calderoli, ritoccato per la quarta volta, è la più limpida rappresentazione del progetto conservatore e reazionario del blocco politico al governo: spaccare il paese; aumentare le diseguaglianze sociali a cominciare dalla scuola e i profitti in particolare nella sanità privata lombarda; usare le risorse nazionali per promuovere regioni-Stato (il Lombardo-Veneto leghista, per esempio) nella competizione capitalistica inter-europea; collegare i territori più ricchi italiani a quelli europei più produttivi (e redditizi) in Europa (la Germania). E, allo stesso tempo, terminare l’opera di dissoluzione della forma di governo parlamentare stabilita dalla Costituzione creando un regime presidenziale che dovrebbe accontentare Fratelli d’Italia, lo stesso partito che nel 2014 presentò una proposta di legge per abolire le regioni.

QUELLO DI OGGI non è un mero passaggio tecnico, nè solo di circostanza fatto perché la Lega si gioca l’osso del collo. Non solo in vista delle regionali in Lombardia il 12 e 13 febbraio, dove spera di rosicchiare qualche voto a Fratelli d’Italia. Ma per rilanciare il suo ruolo nell’alleanza con Meloni & Co. Sarebbe stata proprio la presidente del Consiglio a chiedere un coinvolgimento delle camere nel testo giunto martedì nel «pre-consiglio» dei ministri. E si ritiene anche che voglia fare sfogare l’ansia di prestazione elettorale dei leghisti e che poi giocherà un’altra partita. Anche per Meloni però il sentiero è stretto. Se vuole tenere in piedi il suo governo. In questa dinamica Forza Italia di Berlusconi cerca di esercitare un ruolo di mediazione, puntando a qualche modifica nella discussione parlamentare che risulta ridotta alla formulazione di pareri consultivi e a un’eventuale approvazione a scatola chiusa. Un aspetto che ha sollevato un mare di polemiche, come la complessa ma comprensibile questione dei «Livelli Essenziali delle prestazioni» (Lep) che riguardano i diritti fondamentali e non dovrebbero essere fissati da un Decreto della presidenza del consiglio dei ministri (Dpcm).

SUI TEMPI di approvazione dello «Spacca Italia» ci sono varie versioni. Si è parlato di 5 mesi, compresi i due a disposizione del parlamento per discutere ciò che è stato deciso dalla cabina di regia al governo. Ieri si parlava di tutto il 2023. Il paese aspetta di sapere come continuerà a essere fatto a fette.