Sorpresa: l’Inps (in attivo) spende sempre meno di pensioni
Nell’anno in cui si sa già che non ci sarà un euro per riformare le pensioni, si scopre che l’Inps è sempre meno un istituto previdenziale e sempre più un gestore di politiche pubbliche.
La presentazione del Rendiconto generale 2023 del Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) è stata l’occasione per prendere atto di come il dibattito italiano sulle pensioni – sempre imperniato sull’austerità inculcata dai tempi della Fornero – sia oramai superato dai fatti: l’Inps infatti gestisce un «nuovo modello di welfare» in cui la previdenza è – seppur ancora maggioritaria – solo una delle voci.
E così le 170 pagine della Relazione che certifica un attivo 2023 di 2,06 miliardi sono uno spaccato preciso, analitico e differenziato di questo nuovo welfare, dominato dalla stratificazione di leggi e norme che caratterizzano il Belpaese.
Come ha giustamente sottolineato il presidente del Civ Roberto Ghiselli «il bilancio dell’Inps è di 500 miliardi, più o meno la metà del bilancio dello stato, e negli ultimi 10 anni la spesa per pensioni è scesa dall’88 all’82% mentre le entrate dalla Gias (Gestione interventi assistenziali e di sostengo coperto dalla fiscalità generale, ndr) è aumentata dal 32 al 38%, sotto forma di sostegno alla famiglia, contrasto alla povertà e non autosufficienza. Insomma, l’Inps è sempre più chiamato a collaborare con altre istituzioni, parti sociali e associazioni», citando il caso della Rete del lavoro agricolo come esempio che «va migliorato mettendo assieme Inps, Inail, Ispettorato del lavoro, parti sociali e prefettura».
Se il dibattito politico è tutto concentrato sull’aumento dei costi previdenziali, analizzando il Rendiconto si scopre che il più 7,4% rispetto al 2022, pari a 304,14 miliardi, è figlio delle rivalutazioni degli assegni, comunque tagliato da Giorgetti rispetto all’inflazione, mentre, come ha sottolineato Maria Cecilia Guerra (Pd) l’Assegno unico universale «erogato dall’Inps» è totalmente indicizzato ed è stato un argine reale all’inflazione».
Intanto gli anni passano e il picco della spesa pensionistica che tanto spaventava (e spaventa) i liberisti si avvicina: è fissato nel 2040, fra soli 15 anni. Dopo il regime contributivo puro (che l’Italia condivide con soli tre paesi Ue) farà scendere la spesa.
Cosa fare per arrivarci con conti «sostenibili»? Questa è la grande domanda. Per Ghiselli la demografia è una scienza esatta e dunque «parlare di incentivi alla natalità non ha senso: gli effetti si vedranno fra 25 anni. Serve invece dare lavoro di qualità oggi per avere assegni degni domani, combattendo la precarietà». Maria Cecilia Guerra ha invece avuto il coraggio di nominare «la pensione contributiva di garanzia proposta da Michele Raitano come sistema per garantire assegni degni coprendo i buchi contributivi della precarietà, soprattutto delle donne».
Comico invece l’intervento del sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon. L’inventore leghista del flop Quota 100 (102 e 103) costato 46 miliardi ha compiuto una piccola svolta: ha rottamato l’obiettivo demagogico Salviniano di Quota 41 adeguandosi al mantra di Giorgetti: se non ci sono soldi per le pensioni allora «serve rafforzare il secondo pilastro del sistema, la previdenza complementare». Chiaro il favore a imprese e fondi pensioni privati che si arricchiranno sulle spalle dei precari. Sarà questa la proposta di Giorgetti per la legge di Bilancio?
L’ex vicepresidente di Confindustria Pierangelo Albini, coordinatore della Commissione economica del Civ ha invece attaccato frontalmente una categoria precisa: «Gli artigiani hanno il fondo pensionistico più in rosso perché versavano e versano meno contributi e vengono premiati con la flat tax».
Il 2023 chiude con un risparmio di 7,62 miliardi sul contrasto alla povertà. Si è passati dai 26 miliardi del 2022 ai 18,4 del 2023 figli della cancellazione del reddito di cittadinanza e della farsa con l’introduzione del Supporto alla formazione e al lavoro (Sfl) e Assegno di inclusione (Adi).
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