Non hanno deluso le audizioni straordinarie annunciate a sorpresa ieri dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti del 6 gennaio che ha ascoltato Cassidy Hutchinson, segretaria speciale del capo di gabinetto di Trump Mike Meadows. Hutchinson, funzionaria minore ma col pieno accesso a tutti i maggiorenti della Casa bianca, ha fornito dettagli clamorosi sugli avvenimenti della mattina del 6 gennaio nella residenza presidenziale. La testimonianza ha innanzitutto stabilito come non solo Trump ma membri chiave del suo staff come Meadows e l’avvocato Rudy Giuliani erano del tutto al corrente del probabile esito del comizio indetto da Trump per sollecitare il vicepresidente Pence a sovvertire in extremis i risultati dell’elezione. Sia Meadows che Giuliani avrebbero detto a Hutchinson (che ha poi testimoniato che i due avrebbero richiesto il perdono presidenziale) di tenersi pronta per una «giornata speciale».

«Sei eccitata per il 6?» Avrebbe detto Giuliani. «Sarà un grande giorno! Marceremo sul campidoglio, il presidente farà una figura potente. Chiedi a Meadows lui sa tutto». Più tardi Meadows avrebbe tradito qualche preoccupazione: «Le cose potrebbero mettersi male».

LA MATTINA del giorno dell’assalto Hutchinson ha descritto un Trump già di malumore mentre osservava il concentramento dei suoi «patrioti» sulla spianata del Mall. Era, secondo l’assistente, furioso perché la folla non era abbastanza grande e preoccupato che le foto mostrassero spazi vuoti. Mentre gli agenti del Secret service si adoperavano per controllare i manifestanti ai punti di accesso e sui canali di servizio passavano messaggi sempre più preoccupati riguardo il gran numero di individui armati presenti, Trump avrebbe esclamato: 1Togliete quei cazzo di metal detector. Mica sono qui per minacciare me, vanno al Campidoglio!».

Il racconto di Hutchinson è continuato con gli eventi seguiti al noto comizio in cui Trump ha aizzato la folla contro i «traditori» del Congresso incitandoli alla fine a marciare sul Capitol. La preoccupazione a questo punto è notevolmente salita negli uffici della Casa Bianca. L’avvocato Pat Cipollone avrebbe detto: «Stiamo alla larga del Campidoglio che altrimenti rischiamo denunce di ogni tipo – ostruzione di processo, interferenza nella conta dei voti e incitamentoalla sommossa».

NULLA SEMBRAVA però convincere Trump a desistere dal progetto di marciare alla testa dei suoi nell’estremo tentativo di impedire la certificazione delle elezioni. Lo ha confermato in un video un altro assistente, Max Miller. «Trump voleva andare al campidoglio, o in macchina o alla testa del corteo – ha detto – Aveva ogni intenzione di farlo».
Sotto sue istruzioni il Secret Service stava disperatamente cercando un modo per permetterglielo in sicurezza. Nella trascrizione di un messaggio inviato quel giorno alle 12.29 si legge «Mogul (nome in codice per il presidente, ndr) vuole assolutamente andare, stiamo cercando il modo migliore».

NEL SUO UFFICIO Hutchinson riceve una chiamata concitata da Kevin McCarthy, leader repubblicano della Camera. Nella telefonata McCarthy dice: «Il presidente ha deciso di marciare sul campidoglio – Cassidy devi impedirglielo!». A questo punto gli scontri sulle scalinate sono degenerati e il Secret Service decide che la missione è semplicemente troppo rischiosa.

La scena madre avviene nella Beast, il Suv corazzato del presidente in cui si trova Trump con un autista del Secret Service che gli comunica: «Signore, la situazione è precipitata, non possiamo andare al Campidoglio, non è sicuro, torniamo alla Casa bianca». È il punto in cui Trump perde definitivamente le staffe: «Sono il cazzo di presidente portami subito al Capitol!!». All’ennesimo rifiuto il presidente ancora in carica degli Stati unti d’America afferra il volante e tenta di sviare l’auto e deve essere fisicamente trattenuto nella colluttazione che segue.

Più tardi alla Casa bianca un membro dello staff indicherà a Hutchinson chiazze di ketchup sul muro e piatti rotti in terra. «Meglio che stai alla larga», l’avverte.