Due città sperdute nella più anonima provincia sovietica degli anni Venti: Kolokolamsk e Pišcheslav. La prima «proprio sul confine tra la Repubblica socialista federativa sovietica russa e quella socialista sovietica ucraina e pertanto non riportata su nessuna delle carte di queste due repubbliche amiche e alleate»; e la seconda fiera del suo monumento al celebre botanico Timirjazev, che nella raffigurazione equestre brandisce una barbabietola al posto della sciabola.

Sono queste le ambientazioni di due opere dei «fratelli Goncourt» russi, Il’ja Il’f e Evgenij Petrov, classici della letteratura di Odessa, e autori di Le incredibili vicende della città di Kolokolamsk e altre storie, presentato insieme al racconto «Senza macchia» oggi per la prima volta in italiano dall’editore Spider&Fish (traduzione di Caterina Garzonio, pp. 153, € 14,00).

Datati entrambi alla fine degli anni venti, i due testi videro la luce su riviste moscovite, la prima sul giornale satirico «Chudak» (Lo stravagante), la seconda sul più noto «Ogonëk»(Focherello) di M. Kol’cov, e grazie al loro carattere irrispettoso e mordace non furono ripubblicate fino agli anni sessanta. Mentre la grande svolta staliniana chiamava la letteratura a farsi megafono della propaganda ufficiale, i fratelli Petrov sceglievano l’impervio cammino della satira portandola ai limiti della farsa, dell’antimondo carnevalesco se non addirittura del nonsense grottesco.

Le vicende di Kolokolamsk si sviluppano in una serie di brevi racconti tra il surreale e l’aneddotico che si costruiscono su improbabili fantasie. A un certo punto, per esempio, le avvisaglie di un temporale portano alla costruzione di una nuova arca in attesa del diluvio universale; in un altro passaggio i racconti di un produttore di lucido per le scarpe, ossessionato nei sogni notturni dalle visite di membri del partito, diventano oggetto di discussione e timore per l’intera comunità; altrove, un proletario doc vende la sua genealogia di classe per una zuppa calda e un bicchierino di vodka.

È evidente che dietro le assurde fantasie escogitate dai due scrittori si nascondono chiari riferimenti alla vita concreta della nascente società sovietica tra burocratismo, arrivismo, corruzione e stupido conformismo. Il secondo testo, «Senza macchia», che fa riferimento al romanzo L’uomo invisibile di H.G. Wells, si concentra sulle disavventure di un uomo che avendo utilizzato l’improbabile invenzione di un bislacco genio locale, una saponetta contro le lentiggini, diviene invisibile. Il racconto si sviluppa in continue trovate e colpi di scena che mettono a nudo la stupida arretratezza, la meschinità, la bramosia, l’indolenza e l’ipocrisia di tutta la cittadinanza fino a un rocambolesco epilogo.

Entrambi i testi arricchiscono la loro espressività comica e trasgressiva grazie al montaggio dei vari spezzoni narrativi e grazie alla lingua, colloquiale, fortemente parodistica e altamente allusiva. Un ruolo fondamentale è svolto dai nomi propri dei personaggi, dalla toponomastica, in generale dall’uso comico delle sigle di organizzazioni, delle denominazioni di istituzioni, prodotti e locali pubblici. La lettura provoca un sorriso bonario su un mondo non così improbabile, i cui aspetti di ferinità cupa e caotica trovarono fosche descrizioni nell’Anno nudo di Pil’njak e nel Platonov di Chevengur.