Social offline in Turchia, opposizioni all’attacco: l’Akp perde terreno
Turchia/Siria Sedici ore di blocco dopo la notizia dell'uccisione di 33 soldati a Idlib. Il Chp chiede una sessione di urgenza al presidente del parlamento, che la nega. Il leader detenuto dell'Hdp: «Ora si alzi la voce della pace»
Turchia/Siria Sedici ore di blocco dopo la notizia dell'uccisione di 33 soldati a Idlib. Il Chp chiede una sessione di urgenza al presidente del parlamento, che la nega. Il leader detenuto dell'Hdp: «Ora si alzi la voce della pace»
Per sedici ore, tra la sera di giovedì e il primo pomeriggio di ieri, i social media in Turchia non hanno funzionato. A dirlo è NetBlocks, organizzazione che monitora gli shutdown di internet in giro per il mondo.
Dal lancio della notizia dell’uccisione di 33 soldati turchi a Idlib Facebook, Twitter, Instagram, YouTube, WhatsApp non erano utilizzabili. Meglio evitare, verrebbe da dire, la tempesta di post e commenti che avrebbero messo in imbarazzo il governo turco.
All’interno del paese la situazione è sempre meno stabile. Con l’economia ferma al palo (cresciuta solo delle 0,9% nel 2019, dopo la crisi estiva che ha fatto collassare la lira e impennare l’inflazione) e Ankara incapace di coprire le spese per i mega progetti infrastrutturali voluti dal presidente Erdogan e la sua galassia familistico-imprenditoriale, il consenso cala. Lo si è visto appena sei mesi fa con Istanbul passata dalle mani dell’Akp a quelle del sindaco del Chp Imamoglu. A marzo era toccato alla capitale.
Ieri la protesta in Turchia per la guerra siriana è ripartita dalle opposizioni. I repubblicani del Chp e i laici nazionalisti del Good Party hanno chiesto, con una petizione al presidente del parlamento Sentop, una sessione a porte chiuse in aula per discutere del coinvolgimento turco nel paese vicino. Sentop ha risposto a stretto giro: oggi non ci sarà alcuna sessione per l’assenza del ministro della difesa Akar, impegnato a coordinare le attività in Siria.
L’Akp, il partito del presidente, si difende e lo fa attraverso i media, buona parte dei quali molto più filo-governativi di prima a seguito della campagna di epurazioni post-tentato golpe del 2016: i ministri si sono alternati per giustificare la presenza in Siria e per tirare per la giacca la Nato.
Interviene anche l’Hdp, falciato dagli arresti politici. Dal carcere, dove è rinchiuso dal novembre 2016, l’ex co-leader (ma leader di fatto del partito di sinistra pro-curdo) Selahattin Demirtas ha scritto una lettera in cui condanna la guerra: «Alziamo la nostra voce di pace – scrive – Estendo le mie condoglianze per chi ha perso la vita nell’attacco a Idlib. Vorrei che le politiche di guerra condotte all’interno e all’esterno non causassero più dolore».
Identica la linea del partito: ieri i due co-presidenti Buldan e Sancar hanno ricordato come l’Hdp sia stato «il solo partito ad aver votato contro la recente mozione in parlamento sulla guerra in Siria», quella con cui i deputati hanno dato mandato al governo di dispiegare forze militari fuori dai confini nazionali.
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