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Soccorsi troppo lenti, tra Siria e Turchia ora il rischio è morire di fame e di freddo

Soccorsi troppo lenti, tra Siria e Turchia ora il rischio è morire di fame e di freddoAdana, un fuoco acceso per combattere il freddo – Ap/The Yomiuri Shimbun

Macerie infinite Allarme dell’Oms, mentre il bilancio del sisma supera le 20mila vittime. Protesta in Siria: i camion Onu arrivati ieri sono semivuoti. In Turchia i rifugi non bastano. Ankara riattiva Twitter ma gli detta le condizioni anti-dissenso

Pubblicato più di un anno faEdizione del 10 febbraio 2023

Le 72 ore successive a una calamità sono «la finestra di vita». Significa che, superato quell’intervallo, ritrovare dei dispersi ancora vivi è pressoché impossibile. Dal sisma di magnitudo 7,8 che dall’alba di lunedì ha ucciso 20.451 persone tra Siria e Turchia (3.317 nella prima, 17.134 nella seconda), ne sono trascorse molte di più. Eppure ieri qualche sopravvissuto è stato tirato fuori dalle macerie di migliaia di palazzi al di qua e al di là del confine. Un uomo di 45 anni ad Adana, un bambino di tre ad Antakya, uno di due ad Hatay.

PICCOLE LUCI che però non possono rallentare la corsa di un bilancio che si moltiplica di ora in ora. E che peggiorerà, avvertiva ieri l’Organizzazione mondiale della Sanità, non tanto e non solo perché migliaia di altri corpi riemergeranno prima o poi dalle macerie, ma perché fa talmente tanto freddo che molti sopravvissuti potrebbero morire per mancanza di aiuti.

Lo ha detto ieri in conferenza stampa a Ginevra Robert Holden, responsabile delle emergenze per l’Oms: migliaia di persone stanno vivendo «all’addiaccio, in condizioni orribili che vanno peggiorando, senza accesso ad acqua, carburante, elettricità».

«C’è il rischio reale di un disastro secondario che potrebbe colpire molte più persone di quello principale». Di notte a Gaziantep, una delle città turche epicentro del sisma, il termometro segna meno cinque gradi. E sono ancora migliaia gli sfollati senza un rifugio, costretti a dormire in auto o in tende improvvisate.

I reporter dello Stockholm Center for Freedom raccontano di genitori che vagano per la città con i figli avvolti in una coperta, «perché ci si scalda di più muovendosi che restando seduti in una tenda». Su Duvar la giornalista Rabia Çetin racconta di «strade impregnate dell’odore di morte», «corpi portati via con le carriole o nelle lenzuola» o lasciati sui marciapiedi per mancanza di mezzi.

PER IL RESTO, ogni luogo chiuso è possibile rifugio: scuole, moschee, negozi, palestre, centri sportivi. Non bastano per tutti. E le autorità impediscono di rientrare nei palazzi che hanno subito un qualche danno prima di verificarne la tenuta.

Intanto lo stato d’emergenza ordinato dal presidente turco Erdogan è entrato ieri in vigore, dopo il voto del parlamento: servirà, ha detto il leader, per annientare «i gruppi sovversivi» che tenteranno di approfittare della catastrofe e per «impedire i saccheggi». Ieri Erdogan ha proseguito la visita nelle zone colpite, dall’ospedale di Kilis ha definito il sisma «il peggiore che la regione abbia mai visto nella sua storia».

Ma insiste: la colpa non è del governo, seppure i numeri parlino di quasi 6.500 edifici crollati, non solo abitazioni private ma anche ospedali e scuole pubbliche. E mentre Twitter ha ripreso a funzionare dopo i rallentamenti imposti mercoledì dalle autorità e solo a seguito dell’impegno della piattaforma a «rimuovere contenuti falsi», come riporta il sito di monitoraggio NetBlocks, il ministro della Giustizia ha annunciato un’inchiesta sui crolli e le eventuali responsabilità.

SITUAZIONE drammatica anche in Siria, dove gli aiuti sono ancora inferiori. Ieri la promessa avanzata mercoledì da Muhannad Hadi, coordinatore regionale Onu per la Siria, è stata mantenuta: sei convogli sono entrati nel nord-ovest del paese dal valico di Bab al-Hawa, chiuso lunedì da Ankara.

Ad attenderli però non c’era gioia né sollievo: molti siriani hanno lamentato la povertà del carico, tra loro Rami Abdul Rahman, direttore dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino alle opposizioni: «Vergogna, avete mandato sei convogli con gli stessi aiuti che sarebbero dovuti entrare prima del sisma. Nei camion ci sono pochissime cose. Poteva entrare tutto in un solo convoglio». Dentro, dice, c’erano solo prodotti per l’igiene.

SUL FRONTE EUROPEO, dopo l’appello di Damasco a intervenire con il meccanismo Ue per la protezione civile, ieri la Germania ha promesso 26 milioni di euro e la Francia 12 da distribuire a ong e Nazioni unite, specificando di non voler riprendere in alcuna forma i rapporti con il governo.

Posizione identica a quella statunitense, che l’Onu però non avalla, o almeno non del tutto: «Quello che serve oggi è che non ci siano intralci politici agli aiuti», ha detto il mediatore Onu per la Siria, Geir Pedersen.

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