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Snapchat, Instagram e Twitter. È sui social la corsa alla presidenza Usa

Snapchat, Instagram e Twitter. È sui social la corsa alla presidenza UsaIl primo dibattito tv tra i democratici Sanders e Clinton sulla Cnn – LaPresse - Reuters

Elezioni Candidati alle prese con i «Millennial» e l’interazione on line

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 28 ottobre 2015

I social media in Usa vengono utilizzati nelle campagne elettorali dei candidati alla Casa Bianca dal 2008, ma è solo in questa terza tornata elettorale che sono diventati elemento chiave di comunicazione e propaganda.

Così come Kennedy aveva beneficiato dalla televisione nelle elezioni del 1960, ora una nuova generazione di politici ha cominciato a usare a proprio vantaggio tattico il mondo dei social rivolgendosi direttamente alla generazione dei Millenials, nati con la comunicazione digitale nel proprio dna e in breve sono stati seguiti da tutte le macchine elettorali ora in campo.

Dalla sua rielezione nel 2012 Obama è entrato personalmente su Twitter e in questi anni ha tenuto diverse chat su Reddit, ora i candidati alle presidenziali 2016 non sono esattamente tutti dei ragazzini eppure tutti sono entrati da professionisti in questa campagna; Hillary ha dato l’annuncio ufficiale della sua candidatura tramite un Tweet, Jeb Bush su Snapchat, Trump l’ha trasmesso tramite Periscope e ognuno di loro, durante i dibattiti del partito avversario, fa un livetwitting personalizzato ribattendo e ridicolizzando le risposte che vengono date in televisione.

Si hanno così due eventi mediatici collettivi: il dibattito televisivo e la risposta colpo su colpo su Twitter.

Questo porta ad avere anche due visioni diverse dell’elettorato: il dibattito democratico del 16 ottobre, ha avuto diverse sfumature analizzando i social, nei quali Sanders, secondo i dati di Crowdtangle, ha vinto il maggior numero di seguaci su Facebook aumentando il suo seguito del 2 per cento contro l’1 per cento della Clinton (considerata dalla stampa tradizionale la vincitrice del confronto).

Ma non si esaurisce tutto solo sulle piattaforme principali

Per la campagna 2016, ci sono più social da prendere in considerazione, tra questi Snapchat Tumbler e Instagram, particolarmente importanti perché gli elettori, in particolare i Millennials, hanno spostato le proprie preferenze di fruizione sullo streaming live con i canali YouTube e le applicazioni di post a scomparsa, come Snapchat.

La prima ad entrare in questa nuova piazza è stata Hillary che ha lanciato account in tutti i social network più di nicchia spingendosi fino a creare una playlist su Spotify.

L’uso di questi social non è quello dell’invito all’azione o alla presentazione dei programmi, proprio per la natura stessa dei mezzi, ad esempio sul volatile Snapchat non è possibile includere link e viene usato per informazioni lampo, per tenere alta l’attenzione; su Pinterest, invece, Clinton pubblica solo immagini di donne «ispiratrici», foto di famiglia e del backstage dalla campagna elettorale: l’obiettivo è quello di creare un’immagine più umana della candidata e farla diventare più facilmente riconoscibile.

Tra i repubblicani John Kasich e Scott Walker hanno partecipato ad uno spot di 10 secondi su Snapchat per la campagna in Iowa, mentre Rand Paul l’ha utilizzato per un micro spot sulla sua visione della fiscalità americana.

I social media sono consapevoli del proprio ruolo, per questa ragione Snapchat ha da poco assunto l’ex giornalista politico della Cnn Peter Hamby al fine di farlo diventare un mezzo per seguire le elezioni 2016 passando dall’essere un semplice giocattolo social ad una riconosciuta fonte di notizie.

In questo quadro emergono i social media manager e le società che si occupano di questo tipo di comunicazione, come Katie Dowd, la digital director della campagna di Hillary o Matt Oczkowski curatore delle strategie social di Scott Walker. Non basta più, quindi, accendere la televisione, se si vuole avere davvero un’idea di questa campagna presidenziale, bisogna essere pronti a seguire e conoscere una serie articolata di linguaggi e a non stigmatizzare mezzi finora non ancora metabolizzati come fonti.

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