Cultura

Sinistra e potere nel romanzo di Grazia Cherchi

Sinistra e potere nel romanzo di Grazia CherchiUn'immagine dal film "La cosa" di Nanni Moretti (1990)

Scaffale Pubblicato in origine da Longanesi nel 1993, e ora riproposto da Minimum Fax con una bella postfazione di Daria Bignardi, "Fatiche d’amore perdute" è il tentativo di un rincontro tra amici che si sono persi di vista, il centro e il cuore del romanzo è una casa in campagna. Gli anni ’90 stanno consumando quello che resta di un idealismo ormai ridotto a brandelli dagli anni ’80, a qualcuno è andata bene a qualcuno meno, ma la sostanza e l’impressione è quella di una sconfitta cocente, di un atto mancato che lascia tutti disarmati ed esausti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 27 luglio 2023

Grazia Cherchi è stata un’intellettuale incisiva, una lavoratrice culturale radicale che poco (anzi nulla) lasciava all’approssimazione. Dotata di una visione culturale d’appartenenza che andava oltre le ideologie, ma che pretendeva cura e attenzione, oltre ad una matrice culturale solida e comune. Un’intellettuale prima, o meglio, appena prima, che questo termine cadesse in disuso per avallare un tempo della presunta competenza, dell’etichetta più o meno accademica in cui le idee si riducono a rivoli inconsistenti e la produzione di sé diviene l’oggetto centrale di una dichiarata ed esplicita auto promozione.

TORNA PER CERTI VERSI al momento giusto in libreria grazie a Minimum Fax il primo e unico romanzo scritto da Cherchi, Fatiche d’amore perdute, con una bella postfazione di Daria Bignardi (pp. 158, euro 14). Pubblicato in origine da Longanesi nel 1993, Fatiche d’amore perdute è il tentativo di un rincontro tra amici che si sono persi di vista, il centro e il cuore del romanzo è una casa in campagna. Gli anni ’90 stanno consumando quello che resta di un idealismo ormai ridotto a brandelli dagli anni ’80, a qualcuno è andata bene a qualcuno meno, ma la sostanza e l’impressione è quella di una sconfitta cocente, di un atto mancato che lascia tutti disarmati ed esausti.

ED È PROPRIO ATTORNO a questa forma di atono esaurimento che sembra essere lo stigma dei primi anni ’90 italiani (prima che tutto cambi per sempre), che Cherchi ricerca una volontà comune. Un tentativo di riprendere le fila di un discorso che appare ormai troppo didascalico, forse perché stanco, forse perché ormai i codici stanno andando verso una deriva che già allora e per i successivi trent’anni (almeno) apparirà incomprensibile e inestricabile. Mentre i giorni di susseguono sotto una coltre di apparente e nostalgica morbidezza, prende forma una nuova relazione, quella della sinistra italiana con il potere. Là dove le parole non bastano più, là dove le idee sembrano sovrapporsi come vecchi e inutili ritagli di giornale, prende forma una mutazione, la sensazione che per fare, per esistere (per sé e per gli altri) si possa anche accettare come ovvia e naturale un’infelicità profonda.

QUELLE CHE FURONO compagne e compagni divengono così ombre e fantasmi. Non si tratta in Fatiche d’amore perdute di una sorta di Grande freddo, qui non è solo la giovinezza perduta, ma il senso di un’appartenenza comune, popolare e solidale a non restituire il fuoco necessario. Abituata agli altri a partire dalla cura dei loro libri, Grazia Cherchi si ritrova così isolata in un romanzo che coglie il disagio di un tempo, ma al tempo stesso l’impossibilità di una sua definizione e quindi di un racconto. Manca la comunità, mancano le parole per allertarla nel mezzo di un conflitto tra poteri che cambierà radicalmente la storia d’Italia. Fatiche d’amore perdute è la preziosa testimonianza di chi non si diede mai pace, prima fra tutti proprio Grazia Cherchi, ad un declivio volgare e insensato, e anche solo per questo merita attenzione, come certe parole rare di un tempo lontano.

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