Era il novembre 2021 quando il governo statunitense ha messo Nso group – la compagnia israeliana che produce lo spyware Pegasus – sulla Entity list, la lista nera del dipartimento del Commercio, per le sue attività «dolose» nella sfera della cybersorveglianza. Ora invece – riporta un’inchiesta congiunta di Guardian, Haaretz e Washington Post – le potenti e nefaste tecnologie della Nso potrebbero presto essere vendute proprio a una compagnia statunitense, L3Harris, con sede a Miami e 18 miliardi di dollari di fatturato annui, che vende servizi di difesa allo stesso governo Usa, all’Fbi e a corpi di polizia locali, oltre che alla Nato.

Un affare “d’oro”, dato che la fine in lista nera di Nso, oltre all’attenzione internazionale e alle cause intentatele da Whatsapp e Apple per aver spiato decine di propri clienti, hanno lasciato la compagnia controllata del ministero della Difesa israeliano in gravi guai finanziari, addirittura a rischio default dato che «nessuno sano di mente vorrebbe farci affari», come osservava Ron Deibert di Citizen Lab, il centro studi canadese sulla cybersecurity che ha smascherato molte delle malefatte di Nso. Tra le quali aver fornito Pegasus a governi e agenzie di polizia e sicurezza di stati ostili ai diritti umani che se ne sono serviti per spiare giornalisti, attivisti, avvocati – anche la compagna del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi ucciso da uomini dei servizi sauditi nel 2018.

LA CASA BIANCA, attraverso un suo anonimo ufficiale che ha parlato con i giornalisti di WP e Guardian, non nega che una trattativa per l’acquisizione di Pegasus sia in corso, ma si limita a osservare di non essere «coinvolta in alcun modo» nell’affare. Per arginare la legittima indignazione che un passaggio delle tecnologie Nso in mani americane susciterebbe, dalla Casa bianca arrivano anche critiche e paletti alla possibilità di un simile accordo: «Suscita gravi preoccupazioni relative alla sicurezza e al controspionaggio per il governo Usa». Che si troverebbe infatti a sciogliere il nodo di una tecnologia di sorveglianza straniera, sulla quale anche il governo israeliano ha potere di veto e che difficilmente accetterebbe di separarsene interamente, sul proprio territorio. L’ufficiale aggiunge che l’acquisto da parte di una compagnia americana «non rimuoverebbe automaticamente» Nso dalla lista di entità sanzionate, e che l’accordo sarebbe oggetto di un’«ampia revisione» che ne stimi appunto i rischi oltre che le (molto generiche) «implicazioni per i diritti umani». Niente di paragonabile alle parole di Biden quando neanche un anno fa aveva messo al bando Nso, «contraria agli interessi in politica estera e sicurezza nazionale degli Stati uniti».

D’altro canto si era già scoperto pochi mesi fa che l’Fbi aveva acquistato una versione di Pegasus – «unicamente per studiarla» – nel 2019, e che continuava a versare a Nso un canone annuo per conservare la sua tecnologia, pagando così milioni di dollari a una compagnia sanzionata dallo stesso governo a cui fa capo. Un altro ricercatore di Citizen Lab, John Scott Railton, osserva infatti che se la Casa bianca non fermerà l’accordo, sarà legittimo pensare alla «debolezza» dell’amministrazione Biden, o peggio a un suo «cinismo» nel dirottare negli Usa questi strumenti di sorveglianza «a prezzo scontato».

ALCUNE PERSONE al corrente degli sviluppi della trattativa in corso, interpellate dai giornalisti dei tre quotidiani, spiegano che al centro delle discussioni ci sono l’acquisizione dei codici al cuore delle tecnologie Nso e un eventuale passaggio a L3Harris di personale della compagnia israeliana. E osservano che in mani statunitensi si ridurrebbe drasticamente la clientela che avrebbe accesso a questi strumenti di sorveglianza: probabilmente solo i membri dell’alleanza Five Eye (oltre agli Usa Canada, Regno unito, Nuova Zelanda, Australia) e qualche alleato Nato.
Railton si dice però dubbioso che Usa e alleati vogliano servirsi di strumenti così compromessi per le loro «operazioni più sensibili»: «Penso che la loro destinazione più logica siano i dipartimenti di polizia statunitensi. Un rischio senza precedenti per i nostri diritti civili».