Benyamin Netanyahu corre ad invadere Rafah, prima che gli Stati uniti possano in qualche modo condizionare la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia saudita al cessate il fuoco a Gaza e a ipotetici negoziati per la creazione di uno Stato palestinese. A mettere insieme questi pezzi è stato ieri il Segretario di Stato Antony Blinken, atteso martedì in Israele. «Più (la normalizzazione, ndr) si sposta dall’ipotetico e teorico a qualcosa che è effettivamente possibile, che diventa reale, e più i soggetti coinvolti dovranno prendere decisioni e fare delle scelte», ha detto Blinken alla Cnn. Cosa ci sia di solido non è facile valutarlo. Il premier israeliano non deve aver accolto con piacere le parole del Segretario di stato. Netanyahu vuole la normalizzazione con l’Arabia saudita, la insegue dalla firma degli Accordi di Abramo nel 2020. Ma la vuole slegata dalla realizzazione dei diritti negati ai palestinesi.

In attesa che Blinken chiarisca se qualcosa bolle in pentola, l’esercito israeliano dispiega i suoi reparti corazzati a ridosso di Gaza in preparazione dell’attacco a Rafah, l’ultima roccaforte di Hamas secondo Israele. L’analista Wassef Erekat spiegava ieri su Al Arabi Al Jadid che «occorrono mesi per spostare in sicurezza i civili dalla città (1,4 milioni)» verso altre zone di Gaza. «Ma Israele non ha tempo vuole portare avanti la sua offensiva», ha aggiunto. Il Cairo, che teme (e prevede) una fuga dei civili palestinesi verso il Sinai, nelle ultime ore ha provato a riavviare i colloqui per la tregua tra Israele e Hamas con una sua proposta che comporterebbe il rilascio di 33 ostaggi israeliani, tra donne, anziani e malati, in cambio del congelamento dell’avanzata su Rafah. Secondo l’intelligence israeliana sarebbero solo 33 i sequestrati ancora in vita, su un totale di 133 trattenuti da Hamas e altri gruppi combattenti. «Gli egiziani stanno davvero prendendo in mano la situazione. L’Egitto vuole vedere dei progressi, perché è preoccupato per una possibile operazione a Rafah», ha detto una fonte israeliana al Jerusalem Post, commentando i colloqui in corso.

Ma i delegati egiziani, ieri attesi a Tel Aviv, non sono certi che il tentativo vada in porto. Oltre all’intenzione evidente di Israele di assaltare la città palestinese, è inverosimile al momento che Hamas liberi gli ostaggi in vita in cambio dello stop all’attacco contro Rafah senza avere la certezza che si vada al cessate il fuoco permanente. Su questo punto ieri è stato molto chiaro un alto dirigente di Hamas, Ghazi Hamad. Per questo, il Cairo ha impartito direttive ai governatorati nel Sinai per accelerare i preparativi del piano di emergenza che entrerà in vigore martedì prossimo, a cominciare dal settore sanitario. Misure che però non sono legate all’inaugurazione due giorni fa della Nuova Rafah, 42 edifici e 272 appartamenti costruiti a tempo di record che accoglieranno gli abitanti della Rafah egiziana distrutta dall’esercito per eliminare i 1.500 tunnel che fino al 2019 la collegavano alla Rafah palestinese. Qualcuno aveva visto in quelle costruzioni i rifugi per i palestinesi che si riverseranno nel Sinai quando scatterà l’attacco israeliano su Rafah. Le nuove istruzioni sono state emanate a seguito dell’incontro che ha riunito mercoledì, al Cairo, il capo dello Shin Bet israeliano, Ronen Bar, e il capo di stato maggiore, Herzi Halevi, con i comandanti militari egiziani e il capo dell’intelligence Abbas Kamel. La tv Channel 12 spiegava ieri che la trattativa in corso «è l’ultima opportunità» di raggiungere un accordo «prima che l’esercito (israeliano) entri a Rafah» e che «non sarà permesso ad Hamas di parlare solo di 20 ostaggi come ha fatto nei giorni scorsi».

Nubi sempre più nere si addensano su Rafah, soggetta da giorni a violenti raid aerei. Ha generato una profonda tristezza la notizia della morte di Sabrin, la bimba prematura tirata fuori domenica notte dal ventre della mamma uccisa da un bombardamento. La piccola si è spenta per gravi difficoltà respiratorie. Il suo nome si aggiunge ai 34.356 palestinesi uccisi da 7 ottobre. Tra le ultime vittime dei raid aerei anche Shaima Al-Arair, figlia del poeta e accademico Rifaat Al-Arair, ucciso quattro mesi fa da un missile. Agli ospedali sono stati portati 51 morti e 75 feriti nelle ultime 24 ore.

Un funzionario delle Nazioni Unite prevede che la rimozione delle macerie, compresi gli ordigni inesplosi, provocate dall’offensiva israeliana potrebbe richiedere anche 14 anni. I bombardamenti, ha spiegato, hanno generato almeno 37 milioni di tonnellate di macerie nelle aree di Gaza più densamente popolate e un numero sconosciuto di ordigni da disinnescare.