Shen Bin nuovo vescovo di Shanghai. Strappo tra Pcc e Vaticano
Cina La nomina decisa dalle autorità cinesi inasprisce la divisione tra comunità cattoliche ufficiali e «clandestine»
Cina La nomina decisa dalle autorità cinesi inasprisce la divisione tra comunità cattoliche ufficiali e «clandestine»
Tra i dedali di Shanghai nasce un quartiere che si chiama Xujiahui. Qui sorge la cattedrale di Sant’Ignazio, che da più di 60 anni rappresenta la sede della diocesi cattolica romana della megalopoli e luogo fondamentale per la storia e per la vita della comunità cattolica cinese. In questi lunghi decenni, la chiesa cattolica di Xujiahui ha accolto centinaia di migliaia di fedeli in fuga dalla devastazione delle guardie rosse durante la Rivoluzione Culturale e dalle persecuzioni del Partito comunista cinese. Adesso la cattedrale di Sant’Ignazio rischia di subire un nuovo scossone. Il 4 aprile le autorità cinesi hanno nominato mons. Shen Bin come nuovo vescovo della diocesi di Shanghai. Una nomina che, precisa il Vaticano, è avvenuta «unilateralmente», non avendo ottenuto l’approvazione papale.
SUL CASO ha acceso i riflettori il portale AsiaNews, che ha precisato come la lettera di nomina porti la firma del Consiglio dei vescovi cinesi – di cui mons. Shen è il capo -, organismo non riconosciuto dalla Santa Sede e strettamente sottomesso al Pcc. Il prelato si così pone alla guida della sede di Shanghai che era vacante da 10 anni, cioè da quando il vescovo riconosciuto da Vaticano e governo cinese, monsignor Ma Daqin, è finito agli arresti domiciliari dopo aver dato le dimissioni – per ragioni ancora da chiarire – dall’Associazione patriottica subito dopo l’ordinazione episcopale.
L’insediamento del vescovo a Shanghai rischia di creare un nuovo strappo tra Cina e Santa Sede, che ha appreso solo dai media l’avvenuto insediamento del prelato, ha dichiarato il direttore della sala stampa Matteo Bruni. Perché la nomina di Shen rappresenta l’ennesima violazione dell’accordo sino-vaticano, secondo cui la scelta dei nuovi vescovi dovrebbe essere condivisa da Santa Sede e autorità cinesi. Già lo scorso novembre il Vaticano aveva denunciato la violazione dell’intesa quando le autorità cinesi hanno nominato come vescovo ausiliare della diocesi di Jiangxi monsignor Giovanni Peng Weizhao.
La Chiesa cattolica continua ad avere una “doppia vita” in Cina, nonostante la libertà religiosa sancita dalla Costituzione cinese. E con lo scopo di rimarginare una frattura durata decenni, e porre fine all’esistenza di due realtà religiose sul territorio cinese – la Chiesa ufficiale, che segue le direttive del Pcc, e la Chiesa “clandestina” dove i vescovi nominati dal Vaticano professano la fede all’ombra di Pechino -, Cina e Santa Sede hanno siglato la storica intesa bilaterale nel 2018, rinnovata poi nell’ottobre del 2020 e 2022. Ma non senza polemiche. Il testo ufficiale dell’accordo bilaterale non è mai stato divulgato pubblicamente e i suoi termini restano, a distanza di cinque anni dalla firma, ancora confidenziali. La sua interpretazione resta così vaga, alimentando le critiche di chi – ed è il caso del vescovo emerito di Hong Kong, Joseph Zen – accusa il Vaticano di essersi «svenduto» al Pcc.
ORA SI PRESENTA la questione della sede precedentemente occupata da Shen. Prima di approdare a Shanghai, Shen era pastore della diocesi di Haimen, nella provincia dello Jiangsu, la cui ordinazione era arrivata con riconoscimento papale nel 2010. La nomina per la guida della chiesa di Haimen potrebbe inasprire i rapporti tra Cina e Santa Sede. Ma potrebbe essere lo stesso neo vescovo di Shanghai a gettare acqua sul fuoco. Shen, infatti, ha sempre considerato la possibile riconciliazione tra le comunità cattoliche cinesi “ufficiali” e quelle cosiddette “clandestine” come il risultato auspicato di un dialogo tra governo cinese e Santa Sede. Un dialogo, però, che non dovrebbe essere unilaterale.
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