Un divorzio e delle nozze d’argento. Mentre la Nato mette nel mirino la Cina e amplia il solco tra Pechino e occidente, Xi Jinping celebra il 25esimo anniversario della “riconquista” di Hong Kong.

IL COMPROMESSO raggiunto tra le diverse anime dei membri della Nato ha prodotto questa formula in riferimento alla Repubblica Popolare: sfida sistemica. Il nuovo concetto strategico partorito durante il summit di Madrid non definisce Pechino una «minaccia diretta» come fa con la Russia, ma chiarisce che la Cina rappresenta una fonte di preoccupazione. Il segretario generale Jens Stoltenberg non si è risparmiato un parallelo diretto: «La Russia e la Cina continuano a perseguire vantaggi politici nei nostri vicini meridionali con la leva economica e un approccio ibrido». Emmanuel Macron, esponente dell’ala più morbida, si è affrettato a chiarire che la Nato «non è un’alleanza contro la Cina, ma dobbiamo tenere conto delle sfide sistemiche che pone la crescita della potenza cinese» e «della contestazione all’ordine internazionale che viene dal partenariato tra Cina e Russia».

NON ABBASTANZA per Pechino, che ormai considera Nato e G7 come organizzazioni e piattaforme irrimediabilmente anti cinesi. Il governo della Repubblica Popolare ha risposto in maniera dura, ribaltando la prospettiva. «È la Nato la sfida sistemica alla pace e alla stabilità nel mondo», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian. «Afferma di essere un’organizzazione difensiva e regionale ma lancia guerre ovunque, uccidendo civili innocenti», ha aggiunto. Secondo Pechino, il nuovo concetto strategico della Nato «infanga la politica estera della Cina».

La stessa narrativa utilizzata per descrivere quanto accaduto in Ucraina. Sarebbero proprio la Nato e i suoi alter ego come Quad e Aukus, espandendosi in Europa orientale e in Asia-Pacifico, a fomentare il confronto. La stessa replica che era stata riservata nei giorni scorsi al comunicato finale del G7 tedesco. Anche l’ambasciatore cinese presso le Nazioni Unite ha respinto la concezione della Nato come l’ennesimo capitolo di un «copione», una mentalità «ormai datata da guerra fredda». Sui media di Stato, invece, si definisce l’organizzazione come un «veleno» e non un «antidoto» alla crisi di sicurezza europea.

MENTRE LA NATO aggiornava la sua concezione strategica, Xi Jinping usciva invece per la prima volta dal territorio della Cina continentale dall’inizio della pandemia di coronavirus. Il presidente cinese è arrivato ieri a Hong Kong (prima volta dal 2017), dove oggi prende parte alle cerimonie per il 25esimo anniversario dell’handover, cioè la restituzione dell’ex colonia britannica dal Regno Unito alla Repubblica Popolare. Xi è arrivato, a bordo di un treno speciale, insieme alla first lady Peng Liyuan. Le misure di sicurezza sono imponenti, anche a livello sanitario. I circa tremila tra ospiti e funzionari coinvolti nella visita del presidente sono stati messi in quarantena negli ultimi due giorni. Gli unici spostamenti consentiti sono quelli tra gli uffici amministrativi e le camere d’hotel.

A TRE ANNI di distanza dalle maxi proteste, la “questione” Hong Kong è stata pressoché risolta. La legge sulla sicurezza nazionale e la riforma elettorale “patriottica” hanno di fatto cancellato l’opposizione politica sia a livello politico sia sotto il profilo movimentista. Qualsiasi forma di attivismo è nel mirino. Tanto basta a Xi per dire che Hong Kong è «rinata dalle ceneri» e per incensare il modello “un paese, due sistemi”, che ha «assicurato prosperità e stabilità a lungo termine».

Lo stesso modello che Pechino continua a “offrire” a Taiwan. Complimenti anche per Carrie Lam, che secondo il presidente cinese «ha unito le persone di ogni ceto sociale per fermare la violenza e il caos e ha combattuto con tutte le sue forze». A Lam subentra John Lee, ex responsabile della sicurezza che ha guidato la repressione delle proteste (titolo che gli è valso le sanzioni degli Usa) e da oggi ufficialmente capo dell’esecutivo locale. Lee ha vinto le elezioni di maggio come unico candidato e il 99,2% dei voti. Con l’avvento di Lee, considerato una figura ben più decisa rispetto a Lam, gli attivisti temono che qualsiasi residuo di autonomia venga cancellato definitivamente.

SE LA NATO ha intenzione di mettere (più o meno direttamente) radici anche nel suo vicinato, la Cina mostra di aver rimarginato la ferita di Hong Kong e lancia un messaggio chiaro: non ha nessuna intenzione di rivivere il secolo delle umiliazioni.