Serracchiani: «Né di destra né di sinistra, la violenza ci coinvolge tutti»
Intervista Parla la responsabile Giustizia del Pd: «Bambini in carcere e lotta alla violenza di genere non stanno insieme: la destra tenta l’equilibrismo. Meloni si fa chiamare "il presidente", riconoscendo il primato del maschile, e questo ha conseguenze sul piano politico. Per cui non fa abbastanza per le donne»
Intervista Parla la responsabile Giustizia del Pd: «Bambini in carcere e lotta alla violenza di genere non stanno insieme: la destra tenta l’equilibrismo. Meloni si fa chiamare "il presidente", riconoscendo il primato del maschile, e questo ha conseguenze sul piano politico. Per cui non fa abbastanza per le donne»
Onorevole Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del Pd, il governo Meloni improvvisa prove di equilibrismo: madri incinte in galera e lotta alla violenza maschile. Come stanno insieme le due cose?
Non stanno assolutamente insieme, ma non è una novità con questo governo purtroppo. Con il ddl sicurezza avviene ciò che non era mai avvenuto prima se consideriamo che l’obbligo di non condurre in carcere le donne incinte e le madri di bambini fino a un anno di età risale addirittura al Codice Rocco del fascismo. Neanche allora si arrivò a tanto, perché al centro è sempre stato messo il bambino, che non può rispondere delle colpe della madre. Questa è veramente una norma di inciviltà. La presidente Meloni, fintanto che era all’opposizione, prometteva a gran voce battaglie contro le banche, le Big pharma, le multinazionali dell’hi-tech, e tutti i “poteri forti”, oggi invece attraverso questo panpenalismo emozionale va a colpire solo i deboli, gli ultimi, le donne rom, i bambini i detenuti. E ci sembra che in qualche modo invece con quei poteri forti alla fine abbia deciso di non battagliare.
Si potrebbe obiettare che però i bambini in carcere c’erano anche prima, quando governava il Pd, e negli Istituti a custodia attenuata finivano comunque le madri con figli dai tre anni in su.
Infatti avevamo presentato il ddl sulle detenute madri che serviva proprio a evitare che i bambini entrassero in carcere. La legge nella scorsa legislatura aveva trovato un’ampia condivisione alla Camera ma questa maggioranza l’ha smontata al punto di non renderla più riconoscibile e costringendoci a ritirarla. Ed oggi quell’approccio torna nel pacchetto sicurezza.
La commissione Giustizia del Senato ha appena approvato all’unanimità il ddl sul contrasto alla violenza domestica e di genere che rafforza il Codice rosso, e che arriverà in Aula oggi. In questo caso con la maggioranza avete trovato una sintonia, dunque?
Siamo assolutamente favorevoli a tutti quegli strumenti che consentano di prevenire la violenza e le morti come quelle che purtroppo registriamo ogni giorno. Il testo contiene alcune modifiche richieste dal Pd e dalle opposizioni, anche se non si è avuto il coraggio di fare passi ulteriori. Per esempio avevamo chiesto di poter utilizzare lo strumento del fermo anche nei casi di violenza di genere. E si è persa anche l’occasione di inserire nel ddl tutto ciò di cui oggi discutiamo, purtroppo solo dopo l’ennesima donna uccisa: l’educazione affettiva nelle scuole (che dovrebbe cominciare dalle elementari, e non solo dalle scuole secondarie), e la formazione degli insegnanti e degli operatori che si occupano di violenza, dagli infermieri alla polizia. Purtroppo tutti i nostri emendamenti in questa direzione sono stati respinti, tranne quello che per la prima volta affronta il tema della formazione. Per questo abbiamo votato a favore.
La formazione però non è neutra. E si ritorna alla questione culturale, che non si affronta con una manciata di norme. Oggi la Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio, di cui lei si è fatta promotrice alla Camera, ascolterà Nordio. Cosa chiedete al ministro di Giustizia?
La violenza di genere è un tema molto complesso che non può essere affrontato a compartimenti stagni e richiede un profondo intervento a tutti i livelli: scolastico, familiare e di comunità. Sull’informazione, sulla comunicazione, sulla parità di genere che è anche retributiva, economica e sociale, ecc. È un tema molto complesso che richiede risposte altrettanto complesse, non solo nuovi reati e più pene. E richiede anche risorse. Al ministro Nordio chiediamo di non impiegare tutte le sue energie solo sulla repressione ma di fare invece un grande investimento sulla prevenzione. Perché se pensiamo a certe sentenze – da quella che ha minimizzato il palpeggiamento perché era durato pochi secondi, a quella che giustifica la violenza del marito con la cultura del Paese di provenienza – capiamo che c’è molta strada da fare nella formazione anche dei magistrati e dei giudici stessi.
Condivide l’accusa rivolta a Giorgia Meloni di essere espressione di una cultura patriarcale?
Viviamo tutte in un contesto di patriarcato. E non basta una foto di famiglia per smentire questo dato, né il fatto di essere la prima Presidente del consiglio. Ma la destra è intrinsecamente conservatrice e dunque patriarcale. Meloni si fa chiamare «il presidente», riconoscendo il primato del maschile, e questo ha conseguenze sul piano politico. Per cui non fa abbastanza per le donne.
E a sinistra quanto patriarcato resiste ancora?
Come dicevo, non è una questione di destra o di sinistra. Il tema della violenza non può avere un colore politico ma deve appartenere a tutti perché tutta la società ne è intrisa. In Italia, il delitto d’onore è stato abolito solo nel 1981. Fino ad allora la donna era ritenuta un oggetto da possedere. E purtroppo, malgrado le tante conquiste di libertà ottenute grazie al movimento femminista, l’idea del possesso è ancora forte anche tra i giovani.
Perché si fa fatica a pronunciare la parola patriarcato?
Perché non è entrata nella nostra quotidianità. Forse è stata un po’ troppo intellettualizzata.
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