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Serracchiani: «Né di destra né di sinistra, la violenza ci coinvolge tutti»

Serracchiani: «Né di destra né di sinistra,  la violenza ci coinvolge tutti»Debora Serracchiani – Ansa

Intervista Parla la responsabile Giustizia del Pd: «Bambini in carcere e lotta alla violenza di genere non stanno insieme: la destra tenta l’equilibrismo. Meloni si fa chiamare "il presidente", riconoscendo il primato del maschile, e questo ha conseguenze sul piano politico. Per cui non fa abbastanza per le donne»

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 22 novembre 2023

Onorevole Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del Pd, il governo Meloni  improvvisa prove di equilibrismo: madri incinte in galera e lotta alla violenza maschile. Come stanno insieme le due cose?

Non stanno assolutamente insieme, ma non è una novità con questo governo purtroppo. Con il ddl sicurezza avviene ciò che non era mai avvenuto prima se consideriamo che l’obbligo di non condurre in carcere le donne incinte e le madri di bambini fino a un anno di età risale addirittura al Codice Rocco del fascismo. Neanche allora si arrivò a tanto, perché al centro è sempre stato messo il bambino, che non può rispondere delle colpe della madre. Questa è veramente una norma di inciviltà. La presidente Meloni, fintanto che era all’opposizione, prometteva a gran voce battaglie contro le banche, le Big pharma, le multinazionali dell’hi-tech, e tutti i “poteri forti”, oggi invece attraverso questo panpenalismo emozionale va a colpire solo i deboli, gli ultimi, le donne rom, i bambini i detenuti. E ci sembra che in qualche modo invece con quei poteri forti alla fine abbia deciso di non battagliare.

Si potrebbe obiettare che però i bambini in carcere c’erano anche prima, quando governava il Pd, e negli Istituti a custodia attenuata finivano comunque le madri con figli dai tre anni in su.

Infatti avevamo presentato il ddl sulle detenute madri che serviva proprio a evitare che i bambini entrassero in carcere. La legge nella scorsa legislatura aveva trovato un’ampia condivisione alla Camera ma questa maggioranza l’ha smontata al punto di non renderla più riconoscibile e costringendoci a ritirarla. Ed oggi quell’approccio torna nel pacchetto sicurezza.

La commissione Giustizia del Senato ha appena approvato all’unanimità il ddl sul contrasto alla violenza domestica e di genere che rafforza il Codice rosso, e che arriverà in Aula oggi. In questo caso con la maggioranza avete trovato una sintonia, dunque?

Siamo assolutamente favorevoli a tutti quegli strumenti che consentano di prevenire la violenza e le morti come quelle che purtroppo registriamo ogni giorno. Il testo contiene alcune modifiche richieste dal Pd e dalle opposizioni, anche se non si è avuto il coraggio di fare passi ulteriori. Per esempio avevamo chiesto di poter utilizzare lo strumento del fermo anche nei casi di violenza di genere. E si è persa anche l’occasione di inserire nel ddl tutto ciò di cui oggi discutiamo, purtroppo solo dopo l’ennesima donna uccisa: l’educazione affettiva nelle scuole (che dovrebbe cominciare dalle elementari, e non solo dalle scuole secondarie), e la formazione degli insegnanti e degli operatori che si occupano di violenza, dagli infermieri alla polizia. Purtroppo tutti i nostri emendamenti in questa direzione sono stati respinti, tranne quello che per la prima volta affronta il tema della formazione. Per questo abbiamo votato a favore.

La formazione però non è neutra. E si ritorna alla questione culturale, che non si affronta con una manciata di norme. Oggi la Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio, di cui lei si è fatta promotrice alla Camera, ascolterà Nordio. Cosa chiedete al ministro di Giustizia?

La violenza di genere è un tema molto complesso che non può essere affrontato a compartimenti stagni e richiede un profondo intervento a tutti i livelli: scolastico, familiare e di comunità. Sull’informazione, sulla comunicazione, sulla parità di genere che è anche retributiva, economica e sociale, ecc. È un tema molto complesso che richiede risposte altrettanto complesse, non solo nuovi reati e più pene. E richiede anche risorse. Al ministro Nordio chiediamo di non impiegare tutte le sue energie solo sulla repressione ma di fare invece un grande investimento sulla prevenzione. Perché se pensiamo a certe sentenze – da quella che ha minimizzato il palpeggiamento perché era durato pochi secondi, a quella che giustifica la violenza del marito con la cultura del Paese di provenienza – capiamo che c’è molta strada da fare nella formazione anche dei magistrati e dei giudici stessi.

Condivide l’accusa rivolta a Giorgia Meloni di essere espressione di una cultura patriarcale?

Viviamo tutte in un contesto di patriarcato. E non basta una foto di famiglia per smentire questo dato, né il fatto di essere la prima Presidente del consiglio. Ma la destra è intrinsecamente conservatrice e dunque patriarcale. Meloni si fa chiamare «il presidente», riconoscendo il primato del maschile, e questo ha conseguenze sul piano politico. Per cui non fa abbastanza per le donne.

E a sinistra quanto patriarcato resiste ancora?

Come dicevo, non è una questione di destra o di sinistra. Il tema della violenza non può avere un colore politico ma deve appartenere a tutti perché tutta la società ne è intrisa. In Italia, il delitto d’onore è stato abolito solo nel 1981. Fino ad allora la donna era ritenuta un oggetto da possedere. E purtroppo, malgrado le tante conquiste di libertà ottenute grazie al movimento femminista, l’idea del possesso è ancora forte anche tra i giovani.

Perché si fa fatica a pronunciare la parola patriarcato?

Perché non è entrata nella nostra quotidianità. Forse è stata un po’ troppo intellettualizzata.

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