Seimila scienziati si appellano agli europarlamentari: votate a favore
Nature restoration law Demoliti i luoghi comuni dei sovranisti in materia ambientale. Per i ricercatori i nuovi limiti non sono un rischio per la sicurezza alimentare
Mentre la maggioranza Ursula si spacca sul regolamento per il ripristino degli ecosistemi al Parlamento europeo, la comunità scientifica si mostra più coesa. Sono circa seimila gli scienziati specializzati in clima, ambiente e agricoltura da una sessantina di Paesi (tra cui l’Ue al completo) firmatari di una lettera aperta a favore del Green Deal europeo. Il testo è stato redatto da 23 accademici di Germania, Spagna, Paesi Bassi, Finlandia e Polonia e non rappresenta l’ennesimo appello al voto ambientalista. I ricercatori europei, piuttosto, rispondono punto su punto alle obiezioni con cui la destra sovranista e almeno una parte dei Popolari chiedono di bocciare il Regolamento europeo per il ripristino degli ecosistemi – oggi in votazione – e quello sull’uso sostenibile dei pesticidi, che andrà in assemblea in ottobre.
In primo luogo, i ricercatori contestano che i nuovi limiti alle attività agricole mettano a rischio la sicurezza alimentare. Al contrario, la metà delle terre coltivate con piante da impollinazione oggi deve fronteggiare la carenza di insetti impollinatori causata «dalla pressione dei pesticidi e dalla distruzione degli habitat naturali». E il ripristino degli ecosistemi può contribuire alla sostenibilità.
Inoltre, non è vero che le aree marine protette danneggeranno le attività di pesca. La percentuale dello stock ittico pescato a livello globale è salita dal 10% degli anni Settanta a quasi il 35% nel 2017. «Soprattutto le specie più grandi e rilevanti dal punto di vista commerciale oggi corrono un elevatissimo rischio di estinzione» scrivono i ricercatori. Al contrario le aree marine protette irrobustiscono la fauna marina. «Le evidenze scientifiche sono chiare: le aree marine protette favoriscono le attività di pesca e resistono al cambiamento climatico».
Da smentire il presunto impatto negativo della protezione ambientale sui livelli occupazionali nell’agricoltura. Che in crisi ci sono già. «In Europa, nel 2020 c’erano 5,3 milioni di aziende agricole in meno rispetto al 2005, una diminuzione del 37%» che si spiega con la minore domanda di lavoro dovuta all’innovazione tecnologica. Le tecniche agricole ispirate alla sostenibilità invece tendono a richiedere una maggiore forza lavoro. «Nel lungo periodo, gli investimenti possono impedire il collasso della produzione agricola, e con esso dei posti di lavoro, dovuto ai cambiamenti climatici e al peggioramento ambientale» si legge nella lettera aperta.
Quarta obiezione frequente: il costo sociale dei regolamenti. Ma l’agricoltura è già un fardello economicamente insostenibile. I cittadini europei pagano 55 miliardi per i sussidi all’agricoltura, e poi devono sobbarcarsi le esternalità del modello di sviluppo (100 miliardi di costi annui solo in Germania). Secondo le stime, ripristinare gli ecosistemi sul 10% della superficie europea costerebbe 154 miliardi ma porterebbe un beneficio di 1860 miliardi, cioè dodici volte di più: un «investimento con un rendimento eccezionale». Se poi l’Europa si preoccupa di non poter più «nutrire il mondo», farebbe bene a intervenire su altri fattori di rischio per la sicurezza alimentare globale di cui è responsabile, come il consumo di carne e l’uso dei biocarburanti.
Ultimo luogo comune da respingere al mittente: la presunta emergenza alimentare causata dalla guerra in Ucraina. «I bassi prezzi rilevati nell’Europa orientale e la sovrabbondanza di cereali ucraini hanno condotto la Commissione europea a limitare le consegne di prodotti agricoli ucraini a partire dal marzo 2023» osservano gli scienziati. «Questo – concludono – smentisce che l’Europa stia affrontando una carenza di prodotti causata dalla guerra».
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