In due minuti di video James Elder, portavoce dell’Unicef, ha raccontato due dei quotidiani orrori di Gaza. Gli aiuti che non passano e la violenza gratuita. Accompagnava un camion umanitario, destinazione Deir al Balah: «Ci abbiamo impiegato 13 ore. Abbiamo trascorso otto ore ai checkpoint. Alla fine il camion con aiuti per 10mila bambini è stato bloccato. È dovuto tornare indietro. Ci riproveremo».

A Gaza le autorità israeliane impediscono il già scarno flusso di aiuti ormai da un mese e mezzo: dal 6 maggio il valico di Rafah è chiuso, occupato dalle truppe israeliane. Il poco che entra – qualche decina di camion in sei settimane – transita da Kerem Shalom. Ma non bastano i documenti di accompagnamento rilasciati dalle stesse autorità occupanti.

MENTRE aspettava lungo la strada costiera, James Elder ha visto altro: «Ho passato il tempo guardando i pescatori e pensando alla devastazione dell’economia. C’erano otto pescatori con le reti da pesca. All’improvviso un carro armato è arrivato dalla strada e i pescatori sono scappati. Due di loro sono stati colpiti dal fuoco mentre correvano. Uno alla schiena, uno al collo. Con me c’era l’Oms e un paramedico, hanno chiamato gli ufficiali (israeliani) per avere il permesso di soccorrerli. Gli è stato negato. Questi pescatori che cercavano di procurare cibo per la loro famiglia sono tornati nei sacchi per cadaveri dell’Onu».

Nel racconto di Elder stanno le basi delle accuse mosse dal Sudafrica alla Corte internazionale di Giustizia, che le ha accolte, e quelle della procura della Corte penale internazionale: Israele sta affamando Gaza. Lo fa sigillando i valichi di terra e colpendo chi tenta di procurarsi cibo.

È in tale contesto che andrebbero lette le sanzioni che venerdì gli Stati uniti hanno spiccato contro il gruppo di estrema destra israeliano Tsav 9, da mesi responsabile di assaltare i camion diretti a Kerem Shalom, di dare fuoco agli aiuti, di picchiare gli autisti e di bloccare con i massi le strade che conducono al valico.

SI PUNISCE un gruppo senza intaccare la pratica di stato: non si tratta solo, come dimostrato da varie inchieste, di unità dell’esercito che avvertono gli estremisti del passaggio dei camion, ma della politica di chiusura ermetica di Gaza al mondo. Le sanzioni a Tsav 9 sono un modo di punire dei singoli per evitare di sanzionare uno stato. Accade anche con i coloni: Washington ne sanziona due o tre mentre Israele prosegue indisturbato nella colonizzazione illegittima dei Territori occupati.

E così succede che i palestinesi di Gaza si debbano litigare il poco cibo e la poca acqua che entrano, è successo di nuovo ieri a Jabaliya: «Gli israeliani non hanno distrutto solo le nostre case ma anche i pozzi. Non è vita, anche gli animali vivono meglio – dice una donna ad al Jazeera – Ci massacrano, se non con i bombardamenti, con la fame e la sete». Ieri Medici senza Frontiere ha pubblicato il video di un suo dipendente che si nutre di mangime per i piccioni.

SE NON FAME, bombe. A Gaza City, nei quartieri di Tuffah e Shajaiyeh, gli uccisi nei raid israeliani contro le case delle famiglie al-Jamasi e al-Ramlawi sono almeno 19, secondo l’agenzia palestinese Wafa, tra loro un neonato. Una cinquantina i feriti.

A Rafah – dove ieri sono stati uccisi otto soldati israeliani in un’esplosione (306 da inizio offensiva), da chiarire se provocata da cellule di Hamas o dalle mine che trasportavano, scrive Haaretz – i soccorritori hanno recuperato nove corpi dalle macerie di diversi edifici. Il bilancio al 7 ottobre è di 37.296 uccisi, 10mila dispersi e 85mila feriti.

«Ci sono attacchi via terra, aria e mare su Rafah in questo momento – riportava nel pomeriggio la giornalista Hind Khoudary – E ci sono decine di case demolite dalle forze israeliane». Le immagini dei bulldozer che demoliscono quel che resta delle case colpite sono state pubblicate ieri sulle piattaforme social.

«Quello che vediamo a Rafah è parte di una lunga e sistematica strategia dell’esercito israeliano – ha scritto il giornalista Hani Mahmoud – La deliberata distruzione di edifici pubblici, infrastrutture, case, con intere aree residenziali ridotte a un cumulo di macerie. Si giunge a una sola conclusione: Israele e il suo esercito stanno facendo il possibile per rendere Gaza inabitabile. L’unica cosa che le persone qui hanno ancora è la speranza di tornare a casa loro».

Intanto in Cisgiordania un ragazzino di 16 anni, Abdul Rahman Sultan Khatatba, veniva ucciso a Beit Furik dai soldati. Secondo l’Oms, dal 7 ottobre uccisi 547 palestinesi, 5.200i feriti tra cui 800 bambini.