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Se una serrata diventa uno sciopero

Se una serrata diventa uno scioperoUno stabilmento balneare con gli ombrelloni chiusi – Foto Ansa

Il Gesto dell'Ombrello La protesta degli imprenditori balneari viene definita erroneamente a causa della deriva antisindacale figlia di Marchionne. Serve uno sciopero vero dei lavoratori assieme alle associazioni che chiedono la gestione pubblica delle spiagge

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 9 agosto 2024

Da diritto costituzionale a presa in giro semantica e sostanziale. Nel paese in cui oramai quando si parla di sciopero non si citano nemmeno le ragioni di chi rinuncia al salario per difendere i propri diritti ai sensi dell’articolo 40 della Carta, da settimane impazza lo «sciopero dei balneari». Solo vent’anni fa l’espressione sarebbe stata cassata immediatamente. Le due ore di «ombrelloni chiusi dalle 7,30 alle 9,30» annunciate per oggi da alcune sigle di organizzazioni di balneari – senza alcuna riduzione di prezzo per i bagnanti e quindi riduzione dei loro introiti – sono chiaramente una «serrata». Questo il termine corretto quando sono i padroni a protestare: «nella serrata è l’imprenditore che decide di interrompere l’attività produttiva», sottolinea la Treccani ricordando che fino al 1960 era un reato, articolo 502 del Codice penale.

Santanchè e Briatore non a caso vengono da questo mondo, un classico nell’imprenditoria italiana: iperliberisti che sfruttano un bene pubblico come gli arenili, il privilegio di concessioni a vita e ora chiedono di essere difesi della direttiva Bolkestein che ne prevede la messa a bando, caposaldo del pensiero liberale verso il quale, dunque, abiurano in nome di interessi personali.

Il fatto che all’unisono i media continuino a utilizzare erroneamente il termine «sciopero» dice molto della deriva antisindacale portata avanti negli ultimi decenni. Berlusconi e Marchionne – senza dimenticare Giuliano Cazzola e Raffaele Bonanni – hanno portato quello che Gramsci chiamava «senso comune del tempo» a considerare lo sciopero alla stregua di una qualunque protesta, mentre il populismo antisindacale sugli «scioperi dei trasporti tutti di venerdì per allungare il weekend» – dimenticando che nei trasporti si lavora anche il sabato e la domenica – ha fatto il resto.

La polverizzazione del mondo del lavoro è senz’altro una delle concause dell’andazzo generale, la moderazione dei sindacati confederali nell’indire scioperi generali ne è il corollario. Per invertire la rotta si dovrebbe partire proprio dal mondo degli stabilimenti balneari.

Oggi i lavoratori del settore lavoreranno regolarmente, come sempre nella più totale precarietà e mancanza di trasparenza. Nel settore dominano lavoro in nero, contratti non rispettati e polifunzionali – «ti assumo ma mi fai anche il bagnino, lavori al bar e fai le pulizie» è un classico caso negli stabilimenti perfino nella più sindacalizzata Romagna. Serve uno sciopero vero, ben organizzato e radicale. Magari unendosi alle tante associazioni come Mare Libero che in questi mesi stanno «occupando» gli stabilimenti per denunciare l’illegalità delle concessioni scadute e per rendere pubbliche le spiagge. Pensare a gestioni comunali con regolarizzazione dei lavoratori ora sfruttati sarebbe la strada da percorrere assieme.

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