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Se la Germania in crisi riscopre il debito

Nuova Finanza Pubblica

Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale di politica economica. A cura di autori vari

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 18 agosto 2024

«Le prospettive economiche della Germania stanno crollando. Nell’indagine attuale, osserviamo il più forte declino delle aspettative economiche negli ultimi due anni. È probabile che esse siano ancora influenzate da un’elevata incertezza, che è causata da una politica monetaria ambigua, da dati aziendali deludenti dall’economia statunitense e dalle crescenti preoccupazioni per un’escalation del conflitto in Medio Oriente». Queste righe che demoliscono spietatamente le prospettive per l’economia tedesca non vengono da una fonte qualunque: si tratta del professor Achim Wambach, il presidente del Centro Leibniz per la Ricerca economica europea di Mannheim, uno dei maggiori istituti di ricerca del continente. A cadenza regolare pubblica un sondaggio fra operatori di mercato che dovrebbe testare la fiducia degli investitori nell’economia. Ad agosto c’è stato un crollo secondo solo a quello registrato durante la crisi del Covid.

Non si tratta solo del parere degli intervistati. Diverse voci fanno rilevare quanto siano preoccupanti i dati da quella che all’alba della crisi del debito veniva chiamata la locomotiva d’Europa, tanto che veniva additata a vari paesi della periferia come modello. Adesso sembra posta su un binario morto. Nel 2023 la Germania è andata in recessione e le previsioni per l’anno attuale non sono molto positive. L’analisi congiunta dei quattro maggiori enti di studio economico della Repubblica Federale ha rivisto al ribasso le proprie previsioni e stima un modestissimo 0,1% di crescita. Un soffio dal -0,3% dello scorso anno, per cui basterebbe uno stormir di fronde per precipitare il paese nell’incubo psicologico della recessione.

Un’analisi indica che a luglio 1.406 aziende hanno presentato istanza di fallimento, il numero più alto in circa dieci anni, superando anche il picco più recente di aprile 2024. Rispetto a luglio 2023, l’aumento è stato del 37%. Rispetto alla media dello stesso mese degli anni dal 2016 al 2019 prima della pandemia di Covid, la cifra attuale è superiore del 46%.

Nel 1999 l’Economist bollava il paese come il «malato d’Europa». A fine 2023 si è chiesto se tale etichetta debba ancora applicarsi a Berlino. Politici e funzionari negano, ma i capi delle più grandi aziende lo dicono più apertamente: «Gli sviluppi geopolitici hanno reso ampiamente chiaro che il nostro modello economico non è più una garanzia di prosperità», ha affermato Andreas Rade, amministratore delegato dell’Associazione per l’industria automobilistica tedesca, il principale organo di lobbying del settore.

I capisaldi del modello tedesco per circa venti anni sono stati sostanziosi surplus commerciali manifatturieri comprimendo i salari interni e aggressivo mercantilismo all’interno della Ue con energia a basso costo della Russia e la libertà di commercio nel mondo. Questi ultimi due fattori sono spariti, gli Stati uniti stanno portato la Ue ad una guerra commerciale contro la Cina.
Un mondo costellato di sanzioni è quanto più antitetico a un modello che anziché fondare la sua crescita sulla domanda interna determinata dai salari, ha preferito focalizzarsi totalmente sull’esportazione. L’Inflation reduction act di Biden offre sostanziosi finanziamenti per i produttori. Tanto per questo che per il diverso prezzo dell’energia, le aziende tedesche stanno delocalizzando negli Usa o in altri paesi.

Quali sono le soluzioni? Secondo diverse pubblicazioni, ulteriori riforme liberiste. Ma l’economista Peter Bofinger propone un’altra medicina: il debito come motore della crescita. Argomento che spunta, sia pur con toni più prudenti e istituzionali, nella Analisi congiunta di primavera dei quattro principali istituti di ricerca economica della Germania: «Si raccomanda un’attenta riforma del freno all’indebitamento; il passaggio alla regolare limitazione del disavanzo non dovrebbe più avvenire bruscamente, ma piuttosto gradualmente». Peccato che invece il Patto di Stabilità sia stato reintrodotto con modifiche superficiali.

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