Con molta meno eco internazionale delle udienze pubbliche della Commissione d’inchiesta sul 6 gennaio, o delle domande su come agirà il dipartimento di Giustizia, da mesi va avanti un’indagine penale parallela sul tentato golpe in Usa. Un’indagine statale, in Georgia: la procuratrice distrettuale di Fulton County Fani Willis lo scorso maggio ha fatto insediare un gran giurì speciale con l’autorità di ordinare le testimonianze delle figure chiave dell’indagine che si erano rifiutate di collaborare. Tra loro uno dei più stretti alleati di Trump e uno dei più ferventi sostenitori della falsa teoria della frode elettorale, Rudy Giuliani: la Corte suprema di New York ha deliberato la settimana scorsa che il 9 agosto l’ex sindaco dovrà presentarsi in Georgia per testimoniare.

La Georgia è uno dei luoghi cruciali del tentativo di colpo di stato: la chiamata di Trump al Segretario di stato Brad Raffensperger – in cui gli intimava «trovami 11.000 voti» – e le liste elettorali fraudolente inviate da 16 falsi elettori di Trump all’Archivio nazionale per certificare la sua vittoria (quando in realtà aveva vinto Biden) sono le pistole fumanti in mano all’accusa. In uno stato dove, notano molti commentatori legali, i possibili capi di imputazione per frode elettorale sembrano fatti su misura per il reato commesso dall’ex presidente e i suoi seguaci. Già a ottobre 2021 un report dell’organizzazione no profit Brookings concludeva che «La condotta post elettorale di Trump lo mette a rischio sostanziale di incriminazioni statali per molteplici crimini».

E la Commissione d’inchiesta sul 6 gennaio ha dato all’indagine di Willis ulteriori munizioni. Addirittura, per valutare l’impatto delle udienze pubbliche «non dovremmo guardare verso Washington ma molto più a sud della capitale, ad Atlanta». Lo scrivevano sul New York Times il consigliere della Commissione giustizia della Camera Usa durante il primo impeachment di Trump, Norman Eisen, e la legale georgiana Amy Lee Copeland prima che la notizia delle indagini su Trump da parte del dipartimento di Giustizia rimbalzasse sui media di tutto il mondo. Le rivelazioni emerse dalle udienze, scrivono, hanno «messo il turbo» all’indagine penale in corso in Georgia perché hanno fornito agli inquirenti testimonianze altrimenti difficilissime da ottenere su elementi cruciali. Fra cui i tentativi del “team Trump” di far trapelare dal dipartimento di Giustizia dei sospetti sui risultati elettorali e delle chiare indicazioni sullo «stato d’animo» dell’ex presidente necessarie a provare l’intento di sovvertire i risultati elettorali.

I suoi 16 elettori “alternativi” georgiani hanno tutti ricevuto di recente degli avvisi di garanzia dall’ufficio della procura di Willis, probabilmente solo i primi di una lunga serie in quella che potrebbe rivelarsi l’indagine più dannosa per Trump e la sua truppa, dato che non è ostacolata dalle preoccupazioni di un ente governativo come il dipartimento di Giustizia a incriminare un ex presidente.
Una battuta d’arresto è arrivata due giorni fa quando un giudice ha negato a Willis la possibilità di indagare uno dei falsi elettori, un senatore georgiano, causa conflitto d’interesse: aveva dato il suo endorsement al suo oppositore democratico. Ma l’indagine continua.