Se al referendum vince l’antipolitica, meglio sottrarsi
Nella vittoria di Trump, il testosterone è stato fattore determinante. E’ il clima in cui il nuovo presidente degli Usa si è augurato «un dialogo da uomo a uomo» con […]
Nella vittoria di Trump, il testosterone è stato fattore determinante. E’ il clima in cui il nuovo presidente degli Usa si è augurato «un dialogo da uomo a uomo» con […]
Nella vittoria di Trump, il testosterone è stato fattore determinante. E’ il clima in cui il nuovo presidente degli Usa si è augurato «un dialogo da uomo a uomo» con Putin. E c’è il muro che “The Donald” promette per limitare l’immigrazione dal Messico.
Tornano dunque gli uomini duri alla Jack Bauer, protagonista della serie televisiva “24”?
Anche in Italia i toni sessisti (ne hanno scritto Chiara Saraceno e Dacia Maraini) e aggressivi contagiano la comunicazione pubblica. Non si tratta soltanto delle ultime prodezze verbali del governatore campano nei confronti di Rosy Bindi, dopo quelle che indirizzò a Virginia Raggi. E’ proprio il linguaggio violento – «Abbiamo di fronte dei serial killer» (copyright Beppe Grillo) – che accompagna la campagna referendaria (con eccezioni pur numerose) sulla riforma costituzionale.
Al contrario, la proposta sensata di Valerio Onida (non sarebbe costituzionale sottoporre agli elettori argomenti eterogenei minando la libertà di voto) prefigurava, con lo “spacchettamento”, la possibilità di posare sulla materia uno sguardo più cauto.
Ma il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso.
Così sempre più alto risuona il mantra: bisogna votare No contro il potere concentrato nelle mani di “un uomo solo al comando”. Uno che a molti/e sta pure antipatico: l’antipatia miracolosamente si trasforma in categoria politica. E al contrario: votate sì perché da trent’anni aspettiamo questa riforma. L’”accozzaglia” del No obbedisce a motivazioni esclusivamente conservatrici.
Nonostante le dispute, i tumulti, le risse, a me sembra però che i due fronti siano legati da un intento comune quando lasciano balenare il “brillante” (una specie di superluna) obiettivo di rottamare la casta. Ritorna la contrapposizione del nuovo contro il vecchio.
I giudizi sprezzanti, la demonizzazione dell’avversario costellano la discussione. Tuttavia, la deriva delle parole in parte si giustifica. Se bisogna optare tra bicameralismo simmetrico e bicameralismo differenziato, se l’ingegneria costituzionale spadroneggia, meglio simulare una batracomiomachia come è avvenuto alla Leopolda, con quel «Fuori, fuori!» contro la minoranza Pd.
La cultura dell’inimicizia deflagra mentre scarseggiano idee, progetti, vocaboli in grado di sfidare l’antipolitica con una politica che sia ricerca collettiva dei rimedi ai mali di questo Paese.
C’è un sesso che vuole prendere parola, in autonomia. Compaiono gli appelli delle donne, divise tra il No e il Sì. Queste ultime apprezzano la riforma perché nelle istituzioni elettive difende l’equilibrio della rappresentanza (rafforzando il principio già introdotto nell’art. 51).
Ma questo non mette davvero a tema la relazione tra i sessi, nascondendo il dato fondamentale che gli interessi degli uni e delle altre non sono necessariamente gli stessi. Ora, accontentarsi di una inclusione per via legislativa-costituzionale, ho paura che significherà, al massimo, una spruzzata di visibilità per il protagonismo femminile.
Non cambierà una politica bellicosa, nella quale ognuno salta alla gola dell’avversario. In fondo, l’antipolitica consiste proprio nel non sapersi parlare.
«In ogni ambito sembriamo aver perduto le nozioni essenziali dell’intelletto, quelle di limite, misura, grado, proporzione, relazioni, rapporto, condizione, legame necessario, connessione tra mezzi e risultati. Per limitarci alle questioni umane, il nostro universo politico è popolato esclusivamente da miti e mostri» (Simone Weil, Non ricominciamo la guerra di Troia in “Il libro del potere”, Chiarelettere 2016).
Per mettere in campo un’altra politica mi pare che vada disinnescata la tentazione di un linguaggio violento, anchilosato negli stereotipi. Le lezioni della storia recente suggeriscono che c’è disprezzo per un lavoro di cura che parta dalle parole.
Fino a quando la consultazione referendaria rimarrà un campo di battaglia, non resta – secondo me – che sottrarsi a questi giochi di guerra. Votando scheda bianca.
Chi l’ha detto che siamo in ballo e dobbiamo ballare?
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