Il blitz fatto tra il 30 aprile e il primo maggio con l’approvazione di decreto che cambierà, peggiorandolo, il reclutamento dei docenti e il modo di aumentare gli stipendi porterà con ogni probabilità tutti i sindacati della scuola a uno sciopero generale contro il governo Draghi. Sarà il secondo in pochi mesi: il 10 dicembre 2021 lo fecero Flc Cgil, Uil Scuola, Gilda, Snals e, separatamente, Anief, non la Cisl. Stavolta l’indignazione per un «decreto umiliante» prodotto dal ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi, sempre più contestato, con le cabine di regia che si alternano tra Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia, potrebbe portare a un fronte più compatto. Come faranno già venerdì prossimo i sindacati di base Usb, Cobas, Cobas scuola, Unicobas, Cub, Saese e Anief che hanno convocato uno sciopero.

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La vicenda, che abbiamo già raccontato su queste colonne, è politicamente significativa sia per il contenuto effettivamente straordinario di un provvedimento passato senza confronti, sia per lo stile di governo di Draghi peggiorato nel corso del nuovo stato di emergenza proclamato a seguito della guerra russa in Ucraina. Da quel momento sembra essere stata sospesa qualsiasi attività politica, sociale e comunicativa in un paese ancora intorpidito e passivo dopo due anni e mezzo di pandemia. Non è così. E infatti ecco la decisione che cambia alcuni aspetti fondamentali della scuola italiana: come si diventa docenti, senza modificare del meccanismo che moltiplica il precariato, e dove lo «scatto stipendiale» dipende dalla partecipazione alla formazione continua gestita da un istituto terzo e non dal contratto nazionale e tanto meno dalla promozione della vita democratica nella scuola.

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Non solo: data l’esiguità dei fondi a disposizione, come sempre per l’istruzione in Italia, questi presunti «aumenti» saranno limitati solo «a una parte dei docenti» sostiene la Cisl scuola, Così facendo si dividono le figure docenti e le si mette in competizione. E si aumenta la discrezionalità dei dirigenti scolastici le cui associazioni ieri si sono dette favorevoli al decreto. Tutto questo sarà finanziato, sostiene la Flc Cgil, con «il taglio di circa 10 mila cattedre e la riduzione dei finanziamenti già esistenti della card docenti e dei fondi della legge sull’autonomia scolastica». «Questo metodo – sostiene la Gilda – deve indurre tutti i cittadini, e anche il Presidente della Repubblica, a una riflessione, perché non e’ concepibile che si calpestino così le procedure che regolano la vita politica nel nostro paese».

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Insomma, questo è un classico esempio di governance neoliberale dell’istruzione, uno dei tanti che la contro-rivoluzione italiana ha prodotto negli ultimi 30 anni. E classica è la reazione minimizzatrice di Bianchi. Più interessante è la definizione di questa politica data dai sindacati: «è la sindrome di Erode che guida la politica scolastica in Italia». E non solo.