Dopo il taglio alla scuola, dal 4,5% del Pil al 3,5% previsto nel prossimo triennio nel Documento di Economia e Finanza (Def), la «consegna» degli Istituti tecnici superiori alle imprese con il Piano di «ripresa e resilienza» (Pnrr) che stanzia 1,5 miliardi per sviluppare gli Istituti Tecnici Superiori, il governo Draghi ha aggiunto un altro tassello.

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Stando alle bozze circolate il «pacchetto-scuola» con la riforma del reclutamento e della formazione degli insegnanti, approvato ieri dal consiglio dei ministri nell’ambito del decreto per accelerare la realizzazione del «Pnrr», prevede che lo sviluppo della carriera degli insegnanti non sarà più legato all’anzianità di servizio ma al pilastro neoliberale per eccellenza: la formazione continua, alla valutazione fatta ogni 4 anni da una commissione integrato da un ispettore tecnico o da un dirigente di un’altra scuola. Lo «scatto» stipendiale, sempre che ci siano le risorse o non siano bloccate da qualche «austerità», dipenderà dal superamento di una verifica che assoggetterà la vita dell’insegnante al controllo. Ciò comporterà, tra l’altro, la sostituzione del contratto nazionale di lavoro con il sistema della competizione, della valutazione e della messa in prova permanente. Il braccio esecutivo di questa nuova riforma profonda dovrebbe essere una «scuola di alta formazione dell’istruzione» i cui membri dovrebbero svolgere verifiche intermedie annuali e quelle finali sulla base di una relazione presentata dal docente. Questa aggressiva strategia, in corso da quando è iniziata la contro-rivoluzione neoliberale, nega il valore del contratto, abbatte i salari già modesti e li vincola alla «produttività» decisa da un dirigente-manager-padrone.

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Capitolo riforma del reclutamento dei nuovi docenti. Stando alle indiscrezioni il concorso diventerebbe formula unica di reclutamento del personale scolastico, con differenze tra neolaureati e docenti precari. Previsti crediti formativi ai fini dell’abilitazione, un classico dell’università e della formazione neoliberali. Si tratta di un percorso ad ostacoli per raggiungere prima 60 crediti per i neolaureati, acquisibili anche in un corso della laurea magistrale, finalizzati all’abilitazione (tramite prova abilitante) cui seguirebbe, in vista dell’immissione in ruolo, il concorso, sempre che non ci sia da aspettarlo anni.

Al concorso potranno accedere anche i precari che abbiano svolto servizio presso le istituzioni scolastiche statali per almeno 3 anni, negli ultimi cinque. È prevista una norma transitoria e fino alla fine del 2024 sono comunque ammessi al concorso coloro che abbiano conseguito almeno 30 crediti formativi universitari o accademici del percorso universitario. «Siamo sempre stati favorevoli al rafforzamento della formazione in ingresso – osserva Manuela Pascarella, responsabile precari e reclutamento della Flc Cgil – quindi l’idea di una formazione specifica ci vede favorevole. Ma così dopo aver speso denaro e tempi, gli abilitati faranno un altro concorso a quiz per entrare in ruolo. Sembra si voglia costituire un albo professionale. E non si affronta il tema del precariato»

«È possibile che un piano di questa portata sia definito per decreto, senza un vero confronto, né con il Parlamento, né con noi? – si chiedono Flc Cgil, Cisl e Uil Scuola, Snals e Gilda – Servono risorse e i salari vanno ricondotti alla contrattazione». Ieri la decisione di Draghi e del ministro dell’Istruzione Bianchi ha prodotto malumori nella maggioranza. I membri della Commissione Istruzione del Senato hanno deciso di disertare un incontro con quest’ultimo. I senatori della Commissione Istruzione non si sono presentati, perché «coinvolti solo all’ultimo», come ha spiegato il responsabile istruzione della Lega, Mario Pittoni. Presenti invece i capigruppo della Commissione Istruzione della Camera