Il governo Draghi, e i suoi media-megafoni, ieri gongolavano dopo avere annunciato ai docenti e al personale scolastico l’intenzione di rinnovare un contratto scaduto da tre anni e cinque mesi che prevede un aumento del 3,4% che non copre nemmeno l’inflazione (sopra il 5%). Addirittura il governo avrebbe stanziato più di due miliardi di euro che renderebbero ricchi i docenti e il personale Ata. Tanto sarebbe stato infatti previsto in occasione dell’invio all’Aran, fuori tempo massimo, dell’«atto di indirizzo» in vista del contratto 2019-2021. Piatto ricco mi ficco, dunque, per il settore più numeroso della pubblica amministrazione, oltre 1 milione e 100 mila dipendenti mentre si rinnovano gli altri contratti dell’impiego statale.

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Quando si parla di scuola è sempre altissimo il livello della propaganda. Ma questo è il gioco delle tre carte. Va infatti ricordato che i fondi ri-annunciati sono vecchi perché sono la somma delle tre leggi di bilancio passate: 2019, 2020, 2021. Il tocco magico dell’attuale governo si è limitato a stanziare nel 2022 qualche spicciolo contato dal vero amministratore dell’istruzione in Italia: il ministero dell’Economia.

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Ma perché tutto questo? In politica, il tempo è tutto. È stato ampiamente notato ieri che la minestra riscaldata di Viale Trastevere è stata servita dopo l’annuncio del nuovo sciopero dei sindacati della scuola Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, Snals e Gilda previsto il 30 maggio, il secondo in cinque mesi. Un record del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e della cabina di regia a Palazzo Chigi. Lo sciopero, va ricordato, è contro il «decreto legge 36» che stravolge il salario e la carriera dei docenti e interferisce proprio con il contratto. Il governo finanzia il decreto con risorse prese dal taglio dell’organico (meno 10 mila in tre anni) e dal taglio della «card docenti». Il Draghistan ha il braccino sempre più corto.