Cinica quando si tratta di fare morire i migranti in mezzo al mare, la Fortezza Europa si accalora quando si prepara ad applicare dal 2024 il nuovo paradigma dell’austerità finanziaria nel nuovo patto di «stabilità e crescita» sul quale i ministri dell’economia degli Stati membri hanno continuato a scontrarsi ieri in Lussemburgo. Sospeso per pandemia nel 2020, dopo anni di extra-deficit e extra-debito ora il «patto» va riportato all’ordine.

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NELLO SCENARIO di una recessione tecnica nell’Eurozona, mentre la Germania registra tassi negativi di crescita, la Banca Centrale Europea alle prese con un’inflazione persistente continuerà ad aumentare i tassi di interesse a luglio e proseguirà la marcia verso la depressione dell’economia, ecco di cosa discutono i governi: bisogna rendere automatici i tagli al debito e al deficit (leggi Stato sociale) come vogliono la Germania ordo-liberista e i dieci satelliti che hanno sottoscritto una lettera consonante pubblicata su diversi giornali europei l’altro ieri, oppure bisogna lasciarli alle trattative pluriennali tra i governi di turno e la Commissione Europea come suggerito da Bruxelles e, in sostanza, dalla Francia social-liberista alla quale si è accodato il governo Meloni?

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BISOGNA, in altre parole, riconoscere una relativa autonomia della Commissione nelle trattative con il governo italiano, per fare un esempio, oppure accettare che questo avvenga nell’ambito di «regole condivise» ispirate comunque al Fiscal Compact che solo una decina di anni fa faceva schiumare di rabbia e oggi sembrano solo regolette contabili naturalmente accettate?

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LO SCONTRO PLASTICO e dichiarato tra il liberale tedesco Christian Lindner e il macroniano francese Bruno LeMaire visto ieri nel consesso dell’Ecofin non è nuovo, e comunque troverà una soluzione di compromesso a partire da una bozza elaborata mesi fa dalla Commissione Europea. Per ora il motivo della contesa è il vincolo quantitativo per la riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo. La Germania preme per un taglio dell’1 per cento all’anno, la Francia dice che così si va in recessione. Al governo italiano non resta che sperare che non passi. Anche con questo taglio, comunque inferiore a quelli teoricamente prospettati dalla lettera dei trattati «stupidi» (disse Romano Prodi), qualunque governo sarebbe commissariato molto più di quanto non lo sia già adesso.

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IN ATTESA che il presunto progetto di cambio di maggioranza in senso conservatrice si compia con le elezioni del parlamento europeo del 2024, e dunque si componga una Commissione più simpatetica con l’internazionale reazionaria, per il governo Meloni è comunque più utile trattare a tu per tu con Bruxelles che sentire il fiato sul collo degli inflessibili moralizzatori dell’ordoliberismo che restano in agguato.

IL TERRENO della mediazione potrebbe essere quello indicato dall’Olanda che, questa è la novità tattica, non si è allineata con i falchi tedeschi che spiccano il volo dal nido della socialdemocrazia di Olaf Scholz. Per l’eterno Mark Rutte, al governo dal 2010, si tratterebbe di adottare una supervisione più stretta sugli Stati «cicala» con il debito pubblico più alto (Grecia e Italia in testa), rafforzare il ruolo dello European fiscal board, organismo di valutazione indipendente sul modo in cui vengono rispettate le regole di bilancio. Su questi temi un accordo non sarà individuato prima del prossimo ottobre.

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L’ITALIA resta nascosta dietro lo schermo del governo Macron. Curiosa necessità considerato il rapporto isterico tra Parigi e Roma negli ultimi anni, e non solo con il governo Meloni sull’immigrazione. L’esecutivo si trova isolato rispetto alla proposta ribadita ancora ieri dal ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti: scomputare gli «investimenti» per armi, «transizione ecologica e digitale» nell’ambito del Pnrr. Forse anche perché sono in pochi a prendere sul serio l’effettiva capacità di spendere tutti i fondi europei, Giorgetti non è stato ascoltato. Tranne che da Lituania e Polonia che vorrebbero una «golden rule» per le armi, dato che si trovano nelle retrovie della guerra in Ucraina. Anche i post-fascisti e leghisti si sono allineati all’austerità di ritorno nel mezzo della crisi per iper-inflazione: riduzione di debito e deficit, sperando che qualche investimento sgoccioli dalla nebulosa del Pnrr da cui si attendono miracoli.