La Germania è insofferente rispetto all’intesa raggiunta ieri tra i ministri delle finanze Ecofin sulle linee-guida che la Commissione europea seguirà per formulare le proposte legislative in vista di una riforma del Patto di Stabilità. Il suo ministro delle Finanze Christian Lindner lo sta dicendo in tutte le salse da settimane e, nelle ultime ore, l’ha fatto notare ancora una volta. Prima ha messo in dubbio l’intesa politica su un lavoro ancora lungo, e che la Commissione Europea vorrebbe terminare entro il 2023. Poi una volta stabiliti i punti fermi ha detto che non intende dare «carta bianca» a Bruxelles. E che gli orientamenti generali stabiliti ieri dopo l’intesa, non saranno validi perché la Commissione Ue dovrà «impegnarsi con gli Stati membri prima di pubblicare le proposte giuridiche sulla revisione della governance economica». Saranno necessarie «ulteriori profonde discussioni tecniche». Bruxelles vorrebbe presentare entro aprile il testo. Di quest’anno, probabilmente.

L’avvertimento dello Stato membro più «pesante» dell’Unione Europea è giunto chiaro e tondo alla Commissione. «Naturalmente – ha detto il commissario all’Economia Paolo Gentiloni – Eravamo perfettamente al corrente di questo bisogno: lo faremo nelle prossime settimane o mesi». Settimane o mesi. La scansione del tempo a Bruxelles è sempre molto soggettiva. Il ritmo lo danno i governi che giocano al tavolo delle partite pesanti. Non sarà semplice per Gentiloni che ieri si è detto soddisfatto comunque per l’intesa che renderà più graduale il percorso di riduzione del debito, più efficaci le misure che riguardano i bilanci dei diversi paesi, incrementerà gli investimenti «strategici», conserverà il coordinamento delle politiche di bilancio europee.

Qual è il problema? Il liberale Lindner, ministro di un governo teoricamente di «sinistra rosso-verde», ha spiegato la sua personale versione di un ordo-liberalismo rivisto e pregnante in un articolo sul Frankfurter Allgemeine Zeitung il 14 febbraio: «Le regole fiscali europee fungono da ancora di stabilità per la nostra Unione economica e monetaria. Non sono fine a sé stesse. Inoltre, non sono qualcosa di variabile e soggetto a negoziazione e interpretazione».. Berlino vuole «limitare il margine discrezionale. Il consolidamento fiscale non è qualcosa che può essere differito. Tuttavia, le regole devono anche essere realistiche, altrimenti offrono una scusa per non applicarle affatto. Per questo motivo, sono aperto ad aumentare la flessibilità della tempistica per la riduzione del debito, ma non la sua traiettoria di base». In altre parole Lindner teme che la trattativa tra Bruxelles e i singoli governi depotenzi il patto di stabilità. Come se questo non fosse mai avvenuto per anni con il consenso tedesco.

L’accordo di ieri prevede che a paesi con il debito pubblico più alto come l’Italia sia accordata la possibilità di intraprendere «percorsi differenziati fino a 7 anni per ridurre il debito» (verso il 60% in rapporto con il Pil), mentre è stato confermato l’altro parametro del 3% del deficit che una volta Romano Prodi definì «stupido» come l’altro sul debito. Tra l’altro sono stati previsti programmi di bilancio pluriennali e piani nazionali per fissare un percorso di bilancio definito in termini di spesa primaria netta come unico indicatore operativo. Confermate le procedure di infrazione e sanzioni «più efficaci». «Rispettiamo i timori della Germania» ha detto il ministro leghista dell’Economia Giancarlo Giorgetti, contento di avere vinto il primo round. Il conflitto però continua.