L’incubo di Giorgia Meloni sono le lancette. Non lo fa capire: lo dice e lo ripete. «Non possiamo e non vogliamo perdere tempo», scrive in un tweet serale e sulla fretta aveva già martellato in mattinata, di fronte alla osannante platea degli eletti tricolori: «Puntiamo a essere pronti e il più veloci possibile anche nella formazione del governo». Vuol dire eleggere il presidente del Senato già giovedì pomeriggio, incoronando La Russa nonostante i comprensibili malumori di Calderoli. Vuol dire piazzare il leghista Molinari sulla poltrona di Montecitorio la mattina dopo. Soprattutto vuol dire presentarsi con la lista pronta e la riserva sciolta al massimo 48 ore dopo il conferimento dell’incarico, chiudere entro metà della prossima settimana.

I GUAI SI CONCENTRANO qui. Fare in fretta è fondamentale per restituire al mondo l’immagine di un governo forte e di una maggioranza solida, disincentivando quanti pensano a un governo Meloni meteorico. Però è altrettanto importante mettere insieme una compagine credibile e far capire che la premier è una che decide e non si fa prendere in ostaggio. Anche questo lo dice a chiaramente agli eletti, subito dopo averli gratificati con foulard (per le signore) e cravatte (per i maschietti) corredati dallo stemma tricolore: «Puntiamo a dar vita a un governo autorevole e di altissimo livello, che parta dalle competenze. Non c’è spazio per considerazioni secondarie rispetto a questo obiettivo». Nello stesso spirito comunica ai convenuti che per il momento dovranno mettere da parte legittime aspirazioni e ambizioni. Spazio ai tecnici e ai competenti, almeno per ora.

Solo che Berlusconi non trova affatto irrilevante la questione Ronzulli che, per quanto assurdo sembri in una fase come questa, è davvero uno dei principali ostacoli. Si è impuntato, ne ha fatto una questione di principio. Considera la potentissima Licia tanto determinante quanto Tajani, che è sulle soglie degli Esteri dopo che ieri Belloni ha ufficializzato che «non sarà ministra».

Berlusconi reclama per Ronzulli una poltrona di lustro e potere. Le obiezioni della quasi premier ad Arcore lo hanno irritato: «È stata arrogante». Dunque insiste. Se non sarà la Sanità deve trattarsi di un ministero altrettanto rilevante. Ma su questo punto a non cedere è la leader tricolore. Incarica due pezzi da 90 come Rampelli e Lollobrigida di sussurrare che non ci sono veti, solo normale dialettica. Ministero col portafoglio va bene, insomma, e ce ne sono tanti, dal Welfare all’Agricoltura (se non la agguanterà Salvini).

Però ministeri di prima linea passibili di diventare fulcri delle proteste, come Sanità e Istruzione, vanno evitati. Per Berlusconi si tratta di dimostrare peso e centralità, senza contare le insistenze dell’interessata: «Tra alleati non esistono e non possono esistere veti o pregiudiziali verso qualcuno», twitta. Licia o morte.

IL CRUCCIO PRINCIPALE resta comunque l’Economia. Lì non basta fare presto, bisogna uscirne con onore: nelle capitali alleate, sulla carta d’identità del prossimo esecutivo, ci sarà il volto di quel ministro. Il sogno di imbarcare Panetta è sempre più una chimera e a questo punto senza una richiesta esplicita del capo dello Stato in nome dell’interesse nazionale tale resterà.

Così il nome di un politico, Giorgetti, prende quota. Forse per la premier in pectore è solo un modo per far capire che a decidere sarà lei e solo lei ma certo a parecchi Fratelli quel nome piacerebbe più di molti altri papabili di cui si è vociferato in questi giorni. Il problema è che non è affatto detto che piacerebbe altrettanto a Matteo Salvini.

IMPELAGATA nel totoministri, la leader di FdI non dimentica di dover chiarire l’identità del suo partito e del suo prossimo governo sul piano internazionale. Lo ha fatto col messaggio a Vox sabato, con un passaggio sulla difesa dell’interesse nazionale ieri di fronte agli eletti ma anche ribadendo lo schieramento a fianco dell’Ucraina con i Paesi europei più duri. Da un lato l’Europa delle nazioni, con la Polonia come faro al posto della ormai censurata Ungheria. Dall’altro la bandiera Nato issata più in alto che in molte altre capitali europee. Più che a Parigi. Molto più che a Berlino.