Mentre le destre incontrano i primi veri ostacoli sulla via del premierato by Meloni (vedi lo stop di Gianni Letta a una riforma che «riduce» i poteri del Quirinale), e Pd con 5S e rossoverdi provano a fermare il disegno che stravolgerebbe la Costituzione, nel mondo di mezzo qualcosa si muove. Con la benedizione del Corriere e dei poteri che ruotano attorno a via Solferino, un gruppo di intellettuali e politici centristi guidati da Angelo Panebianco e Peppino Calderisi (ma ci sono anche gli ex Pd Franco Debenedetti e Annamaria Parente) ha messo in campo un progetto alternativo, che non prevede l’elezione diretta del premier ma un sistema iper-maggioritario in cui i nomi dei candidati leader sono scritti sulle schede elettorali: un capo del governo eletto indirettamente ma con ancora più poteri di quello sognato da Meloni.

UN SISTEMA MOLTO SIMILE a quello presentato qualche giorno fa dall’ex senatore Pd Stefano Ceccanti all’assemblea dei liberal dem di Orvieto. Il punto di forza di queste proposte mediane riguarda il fatto di poter non essere sgraditi né alla destra, che vuole un premier più forte a scapito del Parlamento e del Quirinale, e neppure in alcuni ambienti del centrosinistra. Non è un caso che la proposta Panebianco si rifaccia esplicitamente a quella di Cesare Salvi ai tempi della Bicamerale D’Alema e ad alcune successive firmate da Giorgio Tonini e Enrico Morando, due delle menti che disegnarono il Pd di Veltroni nel 2007. Non è un mistero che nel dna dell’Ulivo e poi del Pd ci fosse una pulsione ipermaggioritaria.

DIFFICILE DIRE SE IL PD tendenza Schlein abbia fatto i conti davvero i conti con le (poche) luci e le tante ombre del trentennio maggioritario, che ha portato alla personalizzazione della leadership e alla inevitabile riduzione della centralità del Parlamento. Fatto sta che, almeno in questa fase, la linea dello sbarramento contro il premierato di Meloni non sembra avere cedimenti. Ad oggi si potrebbe quindi dire che, alla domanda posta con una certa brutalità da Panebianco al Pd nei giorni scorsi («Volete rafforzare il potere del capo del governo?»), Schlein e il suo gruppo dirigente potrebbe senza troppe contorsioni rispondere di no.

Sarà perché oggi a palazzo Chigi c’è la figura più a destra della storia repubblicana, sarà perchè esercita il suo mandato utilizzando come e più dei predecessori i poteri che la Costituzione vigente le affida (come l’abuso dei decreti e dei voti di fiducia), fatto sta che le nuove leve Pd sembrano essersi affrancate dalla sbornia leaderista. E anche dall’idea che la stabilità dei governi e delle coalizioni si crei con «camicie di forza giuridiche», e cioè con l’ingegneria istituzionale che si sostituisce alla politica.

SE L’OBIETTIVO DELLA segretaria è recuperare voti tra gli astensionisti e nelle categorie sociali più fragili che mai si sono sentite rappresentate dal Pd, è chiaro che la strada per raggiungere l’obiettivo non ha nulla a che vedere con formule più o meno presidenzialiste che, invece, rafforzano la narrativa delle destre. Così come è vero che i sistemi iper maggioritari nascevano anche dalla filosofia che prevedeva di «vincere al centro», soffiando allo schieramento opposto gli elettori mediani. Mentre un partito che intende radicarsi in una parte della società è molto più a proprio agio con un sistema proporzionale.

DI QUI DUNQUE LO SCETTICISMO con cui tra i dem sono state accolte le proposte di mediazione sull’elezione indiretta del premier. L’idea invece è quella di lavorare per riunire tutto il fronte delle opposizioni, da Fratoianni e Conte a Calenda, attorno ad una proposta sul sistema tedesco, proporzionale con soglia di sbarramento tra il 4 e il 5%. Ma con «adeguati correttivi», spiegano fonti dem, in modo da «togliere al premier la potestà sullo scioglimento delle Camere» e da lasciare sostanzialmente in alterati i poteri del Capo dello Stato. «L’esperienza di questi anni di dice che ora bisogna valorizzare il Parlamento e la rappresentanza», spiega una fonte Pd. Il partito non ha ancora discusso il tema in modo approfondito. Ma su questa linea che prevede proporzionale e piccole correzioni al ruolo del premier (con la sfiducia costruttiva) potrebbe starci anche la minoranza ex renziana, che ha abbandonato da tempo la linea del “sindaco d’Italia”.

CERTO, FRANCESCHINI HA suggerito a Schlein di non chiudersi a riccio sulle riforme, ma più in un’ottica di preoccupazione per il rischio che il referendum premi il mostro meloniano che non per reale convinzione sull’idea di rafforzare i poteri del premier. Tra chi è sensibile al richiamo di Franceschini la proposta Panebianco non viene vista malissimo: «La priorità è evitare l’elezione diretta del premier». In ogni caso, in questa fase i dem preferiscono che la destra si cuocia tra le sue contraddizioni (tra il no di Letta e il gelo di Salvini), e lavorano a costruire un fronte referendario per bocciare la riforma Meloni. Sullo sfondo resta l’idea del sistema tedesco corretto, ma senza fretta. Per Schlein le modifiche alla Costituzione non sono una priorità.