Scambi Roma-Pechino, un affare irrinunciabile
Meloni alla Casa bianca Fra gennaio e aprile 2023 il nostro export nel Paese asiatico è cresciuto del 69%
Meloni alla Casa bianca Fra gennaio e aprile 2023 il nostro export nel Paese asiatico è cresciuto del 69%
Via della Seta si, Via della Seta no. Se facciamo parlare i numeri, non è difficile comprendere che il rapporto commerciale con la Cina è di fondamentale importanza per il nostro Paese. Tanto più che negli ultimi tempi, a causa della particolare congiuntura internazionale, i nostri affari nel «mercato unico» e con gli Stati uniti hanno perso, per così dire, di intensità.
NEL 2022, la nostra economia è cresciuta del 3,7%. Il doppio della Germania, sopra la Francia di un punto percentuale. Merito anche delle esportazioni extra-europee. Con la Cina le cose sono andate abbastanza bene. Gli scambi hanno superato i 77 miliardi di dollari, con un incremento del 5,4% rispetto all’anno precedente. Molto meglio di Germania e Francia, che invece hanno visto crollare l’interscambio col Dragone rispettivamente del 3,1% e del 4,4%. Meccanica, farmaceutica, tessile e moda, i settori che maggiormente ne hanno beneficiato. Che poi sono alcuni dei segmenti trainanti della nostra economia (entro il 2025 la Cina sarà il principale mercato mondiale del lusso).
Non solo commercio, tuttavia. Ci sono anche i prodotti intermedi. Semilavorati che l’industria italiana attinge dall’industria cinese. Della loro importanza ce ne siamo accorti nella pandemia, quando le interruzioni nelle catene globali di approvvigionamento hanno mandato in sofferenza interi comparti della nostra manifattura.
I detrattori del memorandum fanno rilevare che nel 2022 si è tuttavia registrato uno squilibrio commerciale a favore di Pechino. Ed è vero. C’entra però il recupero delle importazioni di prodotti intermedi nel post-Covid. E gli ultimi dati forniti dall’Istat, relativi all’anno in corso, dimostrano chiaramente come il rapporto commerciale con Pechino per noi è tutt’altro che a perdere. Nel trimestre marzo-maggio le nostre esportazioni, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, hanno subìto una vistosa contrazione: -3,3%. Nondimeno, il dato disaggregato rivela interessanti novità: perdiamo quote di mercato in Europa (-4,2% Germania, -12,1% Belgio) e negliUsa (-5,8%), ma aumenta la nostra presenza in alcuni mercati extra-europei. Dall’Arabia Saudita alla Cina, per l’appunto, dove, su base annua, il nostro export è cresciuto addirittura del 14,9%. Il dato più significativo, però, è che nel periodo gennaio-aprile 2023, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, le importazioni italiane dalla Cina sono crollate del 16,1% a fronte di un aumento delle esportazioni del 69% (da 4,9 a 8,3 miliardi di euro). Lo squilibrio rimane, ma tende a ridursi.
TORNIAMO alla Via della Seta. Il memorandum constava di 29 accordi, di cui dieci fra aziende private italiane e cinesi e 19 istituzionali. Valore complessivo 7 miliardi di euro. In esso c’erano anche delle criticità. Come l’intesa tra Cassa Depositi e Prestiti e Bank of China, che prevedeva il finanziamento di imprese italiane in Cina con soldi presi in prestito dagli stessi cinesi. Le ricadute finora sono state poche? Sì, ma in questi quattro annisono successe due cose non certo irrilevanti per l’economia mondiale: la pandemia e la guerra. Proprio nella crisi in atto, quindi, l’imperativo dovrebbe essere non tagliarsi i ponti con la seconda economia del mondo e con un mercato di un miliardo e mezzo di persone.
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