Una Sardegna a tutto gas. Il decreto del maggio 2022 con il quale il governo Draghi ha delineato il futuro energetico dell’isola prevede un mix di fonti fossili e di fonti rinnovabili. Il rischio però è che questo equilibrio sia stravolto e che a vincere, alla fine, sia il metano. Contro le scelte dell’ex capo del governo, infatti, si è schierato il presidente della giunta regionale sarda Christian Solinas, che per bloccare il decreto Draghi ha presentato ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio. Motivazione ufficiale è la mancata consultazione, da parte del governo, della Regione Sardegna, che in materia di energia ha specifiche competenze. Sono ben altre, però, le preoccupazioni di Solinas.

IL LEADER DEL CENTRODESTRA ISOLANO punta a modificare le decisioni del governo Draghi con l’obiettivo di ridimensionare le fonti rinnovabili e dare spazio preponderante al metano. Il gioco è ancora tutto aperto, ma intanto con la sua azione giudiziaria un risultato Solinas lo ha già ottenuto: ha sospeso la partita. E’ vero infatti che con una sentenza del 26 settembre 2022 il Tar del Lazio ha respinto il ricorso del leader del centrodestra isolano, ma è anche vero che quando il presidente sardo-leghista si è appellato, contro il giudizio a lui sfavorevole, al Consiglio di Stato quest’ultimo ha cassato per vizi di forma la pronuncia dei magistrati laziali e, fissando per il prossimo 16 novembre l’udienza per la discussione dell’appello, ha accolto l’istanza cautelare della Regione Sardegna, sospendendo, quindi, gli effetti nell’isola del decreto Draghi. Sino al 16 novembre sul fronte energetico sardo tutto resterà bloccato, sia rinnovabili sia metano. Solinas ha fatto propria la linea di Confindustria Sardegna, secondo la quale il modo migliore per soddisfare le esigenze del sistema produttivo regionale è la metanizzazione.

ATTUALMENTE LA SARDEGNA E’ L’UNICA REGIONE italiana a non essere collegata alla rete nazionale di distribuzione del metano. L’arrivo del gas, dicono gli industriali, abbatterebbe i prezzi dell’energia subito, senza le lungaggini legate alla svolta green. Ma a Confindustria non bastano i tre rigassificatori promessi da Draghi con il suo decreto. Gli industriali sardi chiedono, sostenuti politicamente da Solinas, la costruzione di un gasdotto che attraversi tutta l’isola (da Cagliari sino a Sassari) e che consenta la distribuzione in ogni angolo della regione del metano acquistato in Algeria (il «piano Mattei» di Giorgia Meloni). Rigassificatori sì, quindi, ma anche un gigantesco cantiere per i lavori di costruzione del metanodotto, che porterebbe con sé per aggiunta (aggiunta tutt’altro che secondaria) commesse milionarie per le imprese edili sarde. Confindustria e Solinas, insomma, puntano a scardinare – magari con i soldi del Pnrr e con l’aiuto del governo amico nel frattempo insediatosi a Palazzo Chigi – l’intero impianto del decreto Draghi, per inserire tra gli obiettivi il metanodotto, che ora manca, e ridimensionare il piano di sviluppo delle rinnovabili.

COME LE COSE NON ANDRANNO A FINIRE NON DIPENDE però soltanto dall’iter giudiziario avviato con il ricorso di Solinas. Decisiva sarà anche una battaglia che è politica ma soprattutto economico-finanziaria e nella quale si scontrano interessi decisamente più grandi di quelli degli industriali sardi rappresentati dal presidente della giunta regionale. A confrontarsi sono i colossi nazionali dell’energia. In alternativa al metano, e coerentemente al proprio core business, in Sardegna Enel e Terna spingono per una riconversione energetica basata sulla produzione di energia elettrica da rinnovabili. Diversa la strategia di Eni e Snam, che invece, puntando anche in Sardegna a conservare nel processo di transizione verso il green un ruolo di primo piano al metano, hanno esercitato una forte pressione lobbistica su Draghi per avere i rigassificatori. Come si schiererà, in questo duello, il governo Meloni è ancora tutto da vedere. Ma sarà di certo un fattore decisivo.

PER LA SARDEGNA IL PIANO DI TRANSIZIONE ECOLOGICA contenuto nel decreto Draghi prevede un forte incremento della quota di fonti rinnovabili, con impianti a terra su tutto il territorio regionale e in mare al largo delle coste. Allo stesso tempo, il decreto dà il via libera alla metanizzazione dell’isola. Vista l’esclusione dalla rete nazionale di distribuzione del metano, attualmente il 70 per cento dell’energia prodotta nell’isola (pari a 11.590 GWh) viene da due centrali alimentate a carbone, una a Porto Torres (provincia di Sassari) e l’altra a Portovesme (provincia di Cagliari). Dalle fonti rinnovabili arriva il restante 30 per cento. Con il decreto Draghi il metano diventa invece opzione energetica strutturale. Come?

A PORTO TORRES E’ PREVISTO UN PROGETTO SNAM per una nave gasiera e rigassificatrice dalla capienza di 23 mila metri cubi. A Portovesme approderà un’altra nave rigassificatrice dalla portata di 140mila metri cubi. E vicino a Oristano, a Santa Giusta, nascerà un impianto per la rigassificazione e lo stoccaggio di Gpl. Insomma, vento e sole sì, ma anche metano, moltissimo metano, in un’isola che potrebbe invece cogliere l’occasione della riconversione energetica per liberarsi dalle fonti fossili. Esiste uno studio di un anno e mezzo fa dell’Università di Padova e del Politecnico di Milano (www.wwf.it/pandanews/ambiente/stop-al-carbone-sardegna/), di cui il manifesto a suo tempo ha dato conto, che mostra come l’attuale fabbisogno energetico dell’isola può essere pienamente soddisfatto con le rinnovabili, senza più carbone e senza introdurre il metano. Una svolta all green verso la quale c’è non soltanto il consenso, scontato, dell’universo ambientalista, ma anche un forte interesse imprenditoriale, segnalato dal fatto che le richieste presentate in Sardegna dopo il decreto Draghi per la realizzazione di parchi eolici sono al momento più di trecento, mentre anche le domande di autorizzazione per la costruzione di impianti fotovoltaici crescono costantemente. D’altra parte, a fronte di questa corsa alle rinnovabili che vede protagoniste le imprese, c’è la preoccupazione delle comunità locali, che temono un assalto speculativo ai loro territori.

SONO NUMEROSE LE AMMINISTRAZIONI COMUNALI che, nei siti dove dovrebbero essere installati panelli solari e pale eoliche, hanno detto di no. Un movimento che cresce e che solleva una questione importante di partecipazione democratica. Per affrontare la quale servirebbero indirizzi di politica regionale che, contro scelte calate dall’alto, puntino a coinvolgere i territori nella definizione dei progetti di sviluppo delle rinnovabili e prevedano un ruolo centrale per le comunità energetiche e per l’autoproduzione. Ma su questo terreno la giunta regionale di centrodestra è assente. Con il rischio che la Sardegna perda un’opportunità storica: se tutti i parchi eolici e tutti gli impianti fotovoltaici per cui, al momento, è stata chiesta l’autorizzazione venissero realizzati, dalle rinnovabili arriverebbe, secondo stime Terna, una produzione di energia complessiva di 44 mila GWh, ovvero 32.410 GWh in più rispetto agli attuali livelli produttivi. Sarebbe autonomia energetica piena e tutta da fonti green.